Caro amico, questa settimana ti scrivo …
Pier Luigi Leoni
Caro amico, così ti rispondo …
Franco Raimondo Barbabella
Elezioni comunali e manovre civiche
Sostiene il mio amico Pier Luigi Leoni che la situazione di crisi della nostra città derivi in gran misura da un logoramento del potere troppo condizionato dalle fazioni. Ed il mio amico ha tanta ragione, e ne avrebbe anche da vendere (se esistesse il mestiere di venditore di ragione), perché in tutte le città e cittadine e anche nei paesi e paesini, specie in vista di competizioni elettorali importanti migliaia di candidati si azzuffano per portarsi a casa quattro poltrone e decine di liste si contrappongono per fare il più male possibile a loro stesse e alla città.
Da quanto ho capito per tentare di venirne fuori dovrebbe essere individuato e posto in atto una specie di processo di separazione del grano dal loglio anche perché più avanti o poco dopo leggo che «essere protagonisti del rilancio della nostra città significa essere essenzialmente costruttori di un più vasto schieramento di forze positive e della più ampia partecipazione popolare.»
E fino a qui nulla da obiettare anche perché chi, stimandosi investito di una «mission» politica, non vorrebbe imbastire e condurre a termine un’operazione del genere?! Gli uomini e le donne migliori nei posti giusti per attuare un programma, naturalmente il migliore, che il popolo non potrà non condividere.
Caro Pier Luigi, ripensando a certe nostre trascorse goliardate, un paese così, secondo te, sarebbe «Il Paese dei…..!» Guarda che io condivido buona parte di quello che hai pubblicato in questi ultimi tempi, anche se talvolta i tuoi scritti mi hanno dato l’impressione di chi, costretto in cella, medita piani su piani e riempie fogli su fogli con i progetti riguardanti la vita futura sua e quella della comunità dove si troverà a vivere. Caro Pier Luigi forse oggi la storia e la confusione consentono una finestra nel senso che dànno un po’ di spazio alle manovre «civiche» anche se non saprei esserti preciso sull’odierno valore di mercato del P.D. orvietano né del movimento 5 stelle e cioè degli spazi consentiti per manovrare. Ma se hai degli obiettivi chiari, punta dritto sul bersaglio e spara, il fumo o l’arrosto saranno tutti i tuoi. In me si sta risvegliando una specie di curiosità e un occhio che diventa sempre più attento circa il futuro della mia città. Fin dove sarà possibile questa volta vorrei poter dire anche la mia. Scusami l’intromissione nei tuoi progetti ma io credo che dialogare, anche se di tanto in tanto, sia cosa utile, altrimenti tutti noi che cerchiamo di comunicare qualcosa rassomigliamo un po’ a quelli che fanno una lunga pipì nel loro cantone senza mai parlarsi nè voltarsi indietro. Ciao. (Nello Riscaldati su www.orvietosi.it – 23 maggio 2013)
P. Nello Riscaldati, mio amico e mio maestro di orvietanità positiva, scrive, come al solito, cose egregie; ma quando afferma «in me si sta risvegliando una specie di curiosità e un occhio che diventa sempre più attento circa il futuro della mia città», mi provoca una intensa emozione. Approfitto di questa rubrica per farmi aiutare da te, caro Franco, a rispondere degnamente al nostro amico.
F. Ma sei proprio sicuro che quella di affidare a me la risposta sia la cosa giusta? Nello dialoga con te, e io non sono sicuro che gradirebbe una risposta mia al posto della tua. Tuttavia, visto che tu riponi in me una fiducia così grande, non me la sento di tirarmi indietro; spero che Nello non me ne vorrà. Dunque, quale è il succo del suo discorso? A me pare questo: le lotte di fazione ci sono dappertutto, senza differenze tra città e paesi; dubito che ci possa essere un luogo dove si possa separare facilmente il grano dal loglio, i buoni dai cattivi; tu comunque se hai ragioni da far valere va avanti, e raccoglierai i frutti di ciò che hai seminato; d’altronde anch’io, poiché oggi per ragioni contingenti sembra aprirsi almeno uno spiraglio per azioni civiche, mi appresto a dire la mia.
Nulla da eccepire. Tuttavia mi sembra opportuna una considerazione, quasi ragionando tra me e me a voce alta. Seguendo lo Zingarelli, si può dire che il fazioso “professa con intransigenza, senza obiettività, idee di parte” e per questo può anche essere settario e intollerante. Non è certo difficile constatare la presenza diffusa, nella storia e nel presente, di partigianerie, settarismi e intolleranze. Non è difficile nel mondo, su e giù, di qua e di là, e nemmeno alle nostre latitudini, seppure magari in modo un po’ subdolo, misto ad invidia e maldicenza. Tutto questo c’è stato e c’è, ma non è certo normale, e tanto meno necessario che ci sia. Perché comunque fa danni, distrugge persone e prospettive, premia i peggiori, scoraggia gli spiriti miti e generosi.
Noi in ogni caso non l’accettiamo passivamente come se fosse un dato di fatto immodificabile, e per questo diciamo la nostra. Siamo felici che Nello l’abbia notato. Saremo felici se insieme a Nello se ne accorgessero tanti altri cittadini e ci aiutassero in questo sforzo che stiamo facendo da tempo per superare le lotte di fazione, in genere lotte sul niente, o meglio spesso su questioni miserevoli, a tutto danno di quello che non ci stancheremo di chiamare il bene comune. Per le nostre forze pensare di rovesciare il mondo sarebbe quanto meno azzardato (almeno nell’immediato), e forse ancor di più lo sarebbe tentare di far diventare santi gli orvietani (anche perché non abbiamo prove certe che già non lo siano), ammesso naturalmente che lo gradiscano. Dunque, come chiunque ha potuto constatare, ci limitiamo a guardare in faccia la realtà per evidenziarne i limiti e sottolinearne però anche le grandi potenzialità, così da poter conseguentemente lanciare idee, proporre temi di discussione, fare proposte.
Certo, di una cosa siamo ormai profondamente convinti: se le cose resteranno così ancora per qualche tempo, andremo a tappe forzate verso un decadimento irreversibile; e però, come detto, ci possono essere anche le condizioni per fermare e invertire il declino, se i cittadini reagiranno e avranno il coraggio di farsi carico di ciò che ne consegue. Solo così, quando si formeranno le liste e si andrà al voto, essi potranno scegliere una classe dirigente nuova, nel senso di adeguata ad affrontare i problemi complessi che tormentano la città e ne minacciano il futuro. Il punto è dunque questo: sì buone idee, sì buone liste, ma soprattutto capacità di orientarsi e capacità e coraggio di scegliere da parte dei cittadini. Tutti in questo senso possono essere protagonisti di un cambiamento reale e non più di facciata. Noi su questo terreno ci stiamo da un pezzo. Vedremo se e quanti altri lo faranno. Speriamo che siano in tanti.
Piscine fotogeniche
L’ex assessore Brugiotti sapeva già e teneva l’arma puntata. Con l’occasione del suo allontanamento ha sparato!! Chi avrebbe dovuto sparare e colpire sono i vicini di casa del Sindaco che probabilmente sapevano e non hanno detto nulla.
Dalla mappa satellitare si evince che questa piscina esiste da qualche anno, quindi, per quanto nascosta, qualcuno se ne deve essere accorto.
Quale è la morale? Se Concina fosse stato un Sindaco, non dico svedese, ma solo trentino, non si sarebbe mai permesso di fare un atto del genere, anche se probabilmente superficiale. Se i suoi vicini fossero stati trentini lo avrebbero gentilmente avvertito e poi, nell’eventualità, denunciato! Il nostro, purtroppo, è sicuramente un paese civile ma per nulla civico. Dove i vari Lutero, Calvino, ecc. hanno fatto la rivoluzione protestante fondata sulla responsabilità personale o dove ci sono state influenze di questo tipo, questi episodi non avvengono perché vige forte il “senso dello Stato”, quindi del controllo reciproco. Noi, invece, riempiendoci la bocca di “bene comune”, continuiamo a fare i fatti soprattutto nostri. A questo punto, se la piscina è stato solo un errore e le norme prevedono il vincolo, il Sindaco dovrebbe subito smontarla e rimettere l’area, come si dice, in pristino, chiedendo semplicemente scusa ai cittadini. (Gianni Cardinali, www.orvietosì.it, 24 maggio 2013)
P. Il mio amico Gianni Cardinali, con un pacato intervento, dice la sua sulla questione della piscina realizzata sul terreno di pertinenza della moglie del sindaco di Orvieto. Altrettanto pacatamente, vorrei fare qualche osservazione. Cardinali sostiene esplicitamente che l’assessore, prima che il sindaco gli revocasse l’incarico, già sapeva della piscina. I casi allora possono essere quattro: a) l’assessore sapeva e non riteneva che vi fosse reato; b) l’assessore sapeva e, ritenendo che vi fosse reato, ha presentato regolare denuncia quando ancora era assessore; c) l’assessore sapeva e, pur ritenendo che vi fosse reato, non ha presentato denuncia, violando così l’art. 361 del codice penale; d) l’assessore, finché era assessore, non sapeva.
Poi vorrei sommessamente ricordare all’amico Gianni che il Trentino è una delle regioni più cattoliche del mondo, così come sono cattoliche buona parte della Svizzera, della Germania, del Belgio e dell’Olanda.
Infine vorrei far presente a tutti che se attecchissero in Orvieto abitudini luterane o calviniste, o cattolico-trentine, o cattolico-svizzere, o cattolico-germaniche e cominciassimo a giocare con le fotografie aeree ci sarebbe proprio da divertirsi. Salveremmo certamente il Tribunale; anzi, lo dovremmo sopraelevare.
F. In fondo prima Gianni e poi tu avete detto tutto quello che c’era da dire. Il resto lo dirà il concreto svolgimento della vicenda nelle sedi proprie. Per parte mia devo solo notare che la legalità è certo questione di buone norme, di controlli e di repressione degli abusi, ma anche, e direi soprattutto, di comportamenti corretti spontaneamente adottati, come fossero un abito cucito addosso.
Ed è evidente che la situazione non è questa, perché da troppo tempo la mentalità diffusa in tutti gli angoli del nostro paese è che le regole sono fatte per i gonzi e comunque si è convinti che ciò che conviene prima si fa e poi si condona, anzi, intanto si fa e poi si vedrà. Non mi riferisco necessariamente al fatto specifico, che conosco solo dai giornali; mi riferisco a ciò che ciascuno di noi ha constatato e constata nella sua esperienza di vita. È forse il male più grave del nostro paese, che affonda le radici nella sua storia, senza che però, a mio modesto parere, se ne possa trovare una spiegazione inequivoca e unidirezionale, tanto meno solo religiosa. Ma non mi addentro in questa questione per evidente economia di discorso.
Invece mi preme notare come chi per caso tenti di essere coerente e rigoroso, sul piano personale rischi costantemente di essere visto e di sentirsi lo scemo del villaggio, e sul piano pubblico (nel caso assuma incarichi e responsabilità istituzionali) diventi rapidamente un pericolo e un bersaglio da colpire anche con i mezzi più brutali. Di più: se sei così e fai così, nonostante non sia difficile per nessuno sapere chi sei e che cosa fai, difficilmente troverai qualcuno che ti darà conforto e, conoscendoti, ti sosterrà. Tu, quando è stato necessario, lo hai fatto. Ma tu sei tu.
No, per tutto questo dunque non ci può essere una sola spiegazione. E proprio a causa di ciò ci sarebbe bisogno di una vera rivoluzione, culturale e morale, che non a caso però, ammesso che sia possibile, sarebbe senz’altro molto difficile e lunga.
Pensare in inglese?
Il Politecnico di Milano credeva di aver trovato la strada giusta: solo lezioni in inglese dal 2014. Ma la delibera del senato accademico è stata annullata dal TAR. Il rettore era pronto a escludere l’italiano dalle lauree specialistiche e dai dottorati, «per un ateneo internazionale; per formare professionisti pronti per un mercato globale». Lo slancio forte verso l’internazionalizzazione divideva i professori. Il punto critico? La scelta obbligata. Insegnare e imparare «esclusivamente» in una lingua diversa. Eliminare l’italiano. La svolta del politecnico incide sulla libertà d’insegnamento e sul diritto allo studio, si legge nella sentenza del TAR. Erano gli argomenti forti del partito contro. Un conto è conoscere una lingua straniera, altro è tenere lezioni ed esami. «Abbasserebbe la qualità della formazione», una delle obiezioni; e ancora: «non tutti sono pronti»; e poi: «internazionalizzazione non è inglesizzazione (in architettura, per esempio, non è quella la lingua madre; la storia dell’arte ha più senso studiarla in italiano)»; e poi: «è giusto diffondere la conoscenza di lingue straniere, ma anche diffondere la cultura italiana all’estero»; e infine: «la centralità della lingua italiana è tutelata dalla Costituzione». (Federica Cavadini, Corriere della Sera, 24 maggio 2013).
P. Ho cercato di condensare un articolo non eccelso su un argomento molto coinvolgente. Ci salverà l’inglese dalla babele delle oltre seimila lingue e delle centinaia di migliaia di dialetti? Forse è il caso di risalire al mito della Torre di Babele. Gli uomini decisero di costruire una torre che arrivasse al cielo, spinti dal desiderio incomprimibile di ricongiungersi con la Divinità. Non ebbero problemi nel fare il progetto e nell’allestire il cantiere. Ma quando già la Torre lambiva le nuvole la commistione delle lingue mandò tutto a male. La pluralità delle lingue doveva già esserci quando si progettava e si murava, ma la commistione e l’incomprensione prese il sopravvento quando venne meno l’ispirazione iniziale. Vale a dire che la pluralità delle lingue non è di ostacolo quando gli uomini guardano al cielo, ma è deleteria quando vi rinunciano, fortemente attratti dalle cose materiali. La moda dell’inglese mi sembra che abbia le impronte del materialismo. Dobbiamo imparare a menadito l’inglese, dobbiamo leggerlo, scriverlo, parlarlo, dobbiamo pensare in inglese per poter avere successo nella professione e negli affari. Spero che la mano invisibile che muove il mondo o, come preferisco chiamarla, la Provvidenza, faccia presto portare a perfezione le traduzioni elettroniche istantanee non solo dei testi scritti, ma anche delle parole proferite. Allora nessuno sarà costretto, se non gl’Inglesi e i popoli delle loro ex colonie, a pensare in inglese; e i professori di lingue dovranno cambiare mestiere. Ci accorgeremo che gli Zulu che pensano in lingua Zulu non hanno niente da invidiare al pensiero di chi pensa in inglese. Ma forse tu non la pensi proprio così.
F. No, caro amico, la penso proprio così. Trovo semplicemente ridicolo quanto aveva deciso il Politecnico di Milano e trovo perciò sacrosanto il ricorso di un gruppo di docenti e il suo accoglimento da parte del TAR Lombardia. Si trattava di una decisione che non aveva nulla di strategico, anzi, oltre che essere ispirata a vezzo da primedonne e ad ignoranza sia del passato che del futuro, è facile immaginare che sarebbe presto risultata anche obsoleta. Ma tant’è, il minimo che si può dire è che ormai siamo costretti a vedere diffusa la miopia al potere, soprattutto se si tratta dei presunti templi della cultura. Sia chiaro, il mondo di oggi e ancor più quello di domani richiedono di possedere gli strumenti della complessità, competenze plurime di cui fa certamente parte il bagaglio di più lingue straniere, magari a partire proprio dall’inglese. Appunto per questo però è del tutto fuorviante affermare che per essere competenti e competitivi basta il solo inglese: questa in realtà è una semplificazione che di fatto si trasforma in semplicismo culturale. Allora viva il TAR, almeno questa volta e almeno quello della Lombardia!