Caro amico, questa settimana ti scrivo …
Franco Raimondo Barbabella
Caro amico, così ti rispondo …
Pier Luigi Leoni
Deficit di democrazia o di classe dirigente?
“Sollecitati dai tempi nuovi e dalle nuove forze politiche presenti in parlamento, poniamo una domanda: quello che manca oggi in Italia è più la democrazia o la classe dirigente? Soffriamo più per la democrazia usurpata dai partiti o per la mancanza di una classe dirigente? Certo, le due cose in qualche modo sono legate, soprattutto se si pensa che il tasso di democrazia di un paese si abbassa non solo quando i cittadini non possono decidere l’indirizzo politico, ma soprattutto quando gli stessi partiti non ne hanno più alcuno e cessano così di essere rappresentanza politica effettiva del paese. Vale a dire dal momento in cui i partiti hanno cessato di svolgere il ruolo di guida del paese”. (Giuseppe Balistreri)
F. La domanda di Balistreri mi sembra stimolante, ed in verità lo è altrettanto la sua risposta, che è la seguente: il deficit che connota l’Italia in questa fase storica non è di democrazia ma di classe dirigente. In altre parole la crisi politica e le sue conseguenze non sono da imputare alla democrazia rappresentativa, ma al fatto che non si riesce a sceglie una buona classe dirigente al momento delle elezioni. E il ragionamento continua così. Invocare decisioni popolari più fitte e su materie particolari non amplia e non rafforza la democrazia, perché il momento elettorale è di per sé divisivo e conflittuale, mentre, per sentirsi ed essere popolo, è essenziale uno spirito unitario che esprima forza e identità collettiva. E questo lo può assicurare, più che la moltiplicazione delle occasioni di partecipazione popolare, una classe dirigente degna di questo nome. È appunto ciò che manca al nostro Paese dopo il disfacimento della prima repubblica. Ma le classi dirigenti non si creano dal nulla; esse al momento delle elezioni devono già essere costituite, cosicché con le elezioni si tratta solo di scegliere quelli che si ritengono più adatti a interpretare i bisogni della società e a dirigere le istituzioni.
Questo il pensiero di Balistreri per il Paese. Io credo però che questo ragionamento valga in generale e quindi anche a livello locale. Il punto dunque è individuare da parte di chi se ne sente parte una possibile classe dirigente capace di realizzare un programma condiviso da sottoporre al giudizio popolare. Nulla di nuovo? Al contrario, direi quasi nuovo di zecca. Perché non tutto è affidato ormai ai partiti. Sia chiaro, per me non si tratta di negare il ruolo dei partiti, si tratta piuttosto di prendere atto che la democrazia non si esaurisce nella dialettica interna ai partiti e nella competizione tra loro, soprattutto quando l’una e l’altra non funzionano. Dunque il fatto nuovo è che non c’è nulla di precostituito e la sfida è interessante perché modi e soggetti diversi possono esprimersi ed avere un ruolo. Tu che ne dici?
P. Dico semplicemente che la comunità locale, così come quella nazionale, non manca di persone idonee a gestire la cosa pubblica. Sono le cosiddette persone per bene, quelle che godono di una reputazione perché fanno bene le cose che fanno e cercano di farle sempre meglio. Il guaio (del resto frequente nella storia) è che hanno preso il sopravvento i politicanti, cioè coloro che cercano ed esercitano il potere anteponendo alla cura degli interessi pubblici i loro interessi privati sia di natura economica, sia di appartenenza a un partito, sia di mera soddisfazione della propria vanità. La legge economica di Grisham per cui la moneta cattiva scaccia quella buona vale anche in politica. E allora non resta che pregare come ci ha insegnato San Tommaso Moro: «Signore, dammi la forza per migliorare le cose che possono essere migliorate; dammi la pazienza per rassegnarmi alle cose che non possono essere migliorate; e dammi l’intelligenza per distinguere le une dalle altre».
Un’agonia senza fine?
“Il governo Letta si è già impiccato all’albero dei ragionieri europei tutori dei decimali e dei parametri. Quella di Bruxelles è una visione idiota e senza prospettiva che peggiora solo i conti invece di migliorarli. Questo è un modo indegno di concepire la politica perché questo tipo di politica non guarda mai alla vita delle donne e degli uomini ma solo alla cieca e stupida difesa dei parametri che appaiono come muri invalicabili e dogmi. Vedere questi nostri neoministri impotenti e senza coraggio e assolutamente incapaci di contrastare il “pensiero unico” ci fa tristi e furiosi. Voi dovreste rappresentare il nostro Paese, la sua storia, la sua gente, le sue attività, le sue capacità, le sue risorse. Non siete niente, perché il vostro dispendioso compito potrebbe essere affidato ad un qualsiasi ragioniere dello Stato capace di far quadrare i conti e di rispettare il parametro del 3%”. (Tommaso Sessa)
F. Di posizioni come queste fioccano, a sinistra come a destra. Non sono passate che poche settimane dalla sua forzata costituzione che il governo Letta viene già bollato come prono ai voleri di Angela Merkel e dei potentati europei, dunque debole e votato al fallimento. Si dimenticano naturalmente tutte le responsabilità pregresse, sia di breve che di lungo periodo, e si indulge al bisogno di protesta più che allo sforzo di ricostruzione. Ma su un punto Sessa a mio avviso ha ragione da vendere: che senso ha, se non la sfacciata difesa di interessi di alcuni Paesi e di alcuni settori produttivi e sociali, continuare a dare così ciecamente priorità al cosiddetto rigore? Non ci si rende conto che così si affossa l’economia, si mina la tenuta sociale e si fanno saltare le nostre fragili democrazie? Anche i meno esperti di questioni economiche e finanziarie ormai hanno capito che in periodi di recessione bisogna immettere nel sistema forti dosi di liquidità. Lo fanno con successo USA e Giappone, le cui economie o sono in ripresa (USA) o già galoppano (Giappone), mentre l’eurozona rispetto all’economia globale complessivamente resta al palo e in alcuni Paesi rischia il collasso. Dunque ritengo che non ci sia che augurarsi uno scatto di intelligenza e di coraggio per andare nell’unica direzione sensata, che a mio avviso è quella di rafforzare da una parte le istituzioni unitarie dell’Europa e dall’altra di conferire alla BCE un potere reale sulla moneta (compreso quello di stamparla per il necessario), dinamicizzarne i flussi e governare l’inflazione senza eccessive paure. Anche perché non si vede come politiche di bilancio che fanno morire le economie e le società possano definirsi rigorose invece che cieche, e non si vede nemmeno perché il rigore non si possa sposare con la crescita. Senza una svolta nella politica europea la nostra economia non si salva, e con essa nemmeno quella dei comuni. La cosa dunque ci riguarda da vicino. Anche su questo tu come la vedi?
P. Vedo che l’Unione Europea, così com’è, non può competere con le grandi nazioni nell’affrontare il mercato globale. Ma so pure che la collaborazione tra le nazioni europee ha posto fine a secoli di tragedie. Non posso che sperare nella saggezza dei popoli e delle loro classi dirigenti. Quanto al governo, m’è piaciuta la battuta di Philippe Daverio che l’ha definito un “cagatto”, cioè un incrocio tra cane e gatto. Ma il cagatto potrebbe durare, perché altrimenti il presidente Napolitano lascerebbe il campo a qualcuno che ha messo da un pezzo il cappello sulla poltrona più importante farebbe vedere i sorci verdi sia a Berlusconi che al partito democratico. Per quanto riguarda i comuni, essi sono inguaiati grazie alle malefatte sia dello Stato che degli amministratori locali, ma sono allo stremo e spero vivamente che entreranno presto nel mirino del governo e della pubblica opinione le regioni, che sono il cancro più devastante che affligge questa nostra Italia gravemente ammalata.
Che vuole fare davvero il COVIP?
“Ora, a distanza di circa quattro anni, nella grave situazione politica locale e nazionale che per nessuno è mistero, il COVIP scende pubblicamente sul terreno politico collettivo, proponendo ai soggetti individuali o collettivi di scrivere, attraverso il loro contributo, una nuova pagina della storia della città. Non si sa ancora come il COVIP si muoverà alle prossime amministrative – se cioè giocherà direttamente, se appoggerà eventuali altri – perché è presto per decidere o dichiararlo, ma quel che è certo è che vuole giocare un ruolo, sia propositivo, sia di unione di altre e possibili sensibilità. … A mancare, tuttavia, almeno in questa primissima fase, sono proprio i cittadini – così come ha rilevato in un intervento anche Davide Orsini – forse perché si tratta di una posizione comunque elitaria in un momento di dilagante disamore per la politica, forse perché siamo ancora sulle generali e non nel cuore e nella concretezza dei problemi o dei temi, forse perché alla gente, che vive oltretutto in una società da anni imbevuta di leaderismi e personalismi, l’idea del bene comune e dei possibili programmi non basta e la vorrebbe sostanziata dalla fisicità, possibilmente autorevole, di chi di un nuovo progetto per Orvieto dovrà assumersi in prima persona la responsabilità”. (Laura Ricci)
F. Ho ripreso questa parte dell’articolo con cui Laura Ricci riferisce in modo elegante e serio dell’iniziativa COVIP di giovedi scorso perché mi sembra opportuno chiarire, forse meglio di quanto non abbiamo fatto in quell’occasione, le nostre intenzioni. D’altronde non ci sarà difficile, perché non ci sono intenzioni nascoste o scopi reconditi. Allora per parte mia dico poche semplicissime cose. 1. Noi prendiamo atto che i modi tradizionali di organizzare le scelte politiche e di scegliere la classe dirigente della città non hanno funzionato e dunque ne proponiamo uno diverso. 2. Sottoponiamo all’attenzione di tutti uno schema di ragionamento sulle cose da fare, che contiene idee e orientamenti metodologici non proprio consueti, ma comunque oggi di normale sentire e spessore democratico. 3. Immaginiamo e presentiamo un percorso per verificare se esistano e quali possano essere le condizioni per rinnovare la politica locale e rilanciare il ruolo della città con una visione ampia, ambiziosa ma realistica. 4. Ci aspettiamo che sulle iniziative che seguiranno su temi specifici ci sia attenzione e partecipazione, anche se senza illusioni, coscienti comunque di svolgere un’opera di servizio, che è ciò che ci siamo riproposti con la nostra stessa costituzione.
Scarsa partecipazione popolare? Si, ma nulla di strano nelle condizioni attuali, per diverse ragioni, alcune delle quali sono indicate da Laura Ricci. Però quel che conte è che c’è stato dibattito con contributi molto interessanti. Abbiamo avviato un processo politico, certamente non gradito ai tradizionalisti, che però riteniamo essenziale per uscire dalle secche di una politica senz’anima. Si vogliono i nomi, in ossequio al vezzo tutto nostrano di prescindere dalla complessità dei problemi e dalla necessità delle basi concettuali e di proposta per esercitarsi poi sul tiro a segno senza lo sforzo del confronto? Beh, non è ciò che ci interessa. Kant diceva che le intuizioni (le esperienze, la realtà) senza i concetti sono cieche e i concetti senza le intuizioni sono vuoti. Nulla di più vero anche in politica, se per intuizioni intendiamo le persone e per concetti le idee, perché, come sappiamo tutti, le idee camminano con le gambe degli uomini. Tutto a suo tempo però. Ciò su cui fin d’ora credo che possiamo dare assicurazione è che per noi essere protagonisti del rilancio della città significa essenzialmente essere costruttori del più vasto schieramento di forze positive e della più ampia partecipazione popolare, al termine della quale prenderemo le decisioni che riterremo utili alla nostra comunità. Ora lascio a te il compito di sviluppare come meglio credi le posizioni del COVIP.
P. Il COVIP è una esperienza di relazione e di reciproco arricchimento di pensiero tra persone che riconoscono il ruolo fondamentale della politica per il bene della società e, in particolare, della comunità cittadina. Se ci fossimo trovati a nostro agio nei partiti non avremmo impiegato molto del nostro tempo a incontrarci, a discutere e a portare all’esterno le nostre idee. Una delle idee più condivise in questo club politico-culturale è che la situazione di crisi della nostra città deriva dal logoramento di un potere troppo condizionato dalle fazioni. Per troppi anni ha dominato una fazione che si era illusa (e aveva convinto anche la fazione perdente) di essere eterna. Tanto che una fetta consistente della fazione perdente, non sopportando più la situazione di esclusione dal potere, aveva finito con l’aggregarsi alla fazione regolarmente vincente. Ma il virus di una diversa faziosità si rivelò pernicioso perché aumentò il costo della ricerca del consenso e le finanze comunali furono svenate fino a quando l’immorale connubio saltò. Noi del COVIP, come tutte le persone di buon senso, ci rendemmo conto che bisognava cambiare metodo e dare fiato alle virtù civiche, ma non ci limitammo a parlarne al bar. E adesso che cominciano ad avvicinarsi le elezioni comunali, non possiamo che andare avanti nel tentativo di portare sul palcoscenico della politica persone e idee alle quali la cattiva politica ha sbarrato la strada. Poiché è cominciato il clima elettorale, e poiché il sistema elettorale comporta la presentazione di liste, è scontato che, appena due o tre cittadini s’incontrano per parlare di politica, sono subito sospettati di voler presentare una lista. Così, stando alle chiacchiere, sarebbero in cantiere a Orvieto già una decina di liste. Chi vivrà vedrà. L’unico obiettivo attuale è stanare le persone e le idee giuste. La fase più vivace comincerà quando promuoveremo iniziative su temi molto concreti. Allora vedremo se la città sa quello che vuole, o se, come dice lo scettico, gli esempi concreti sono la tomba delle idee astratte.