Caro amico, questa settimana ti scrivo …
Pier Luigi Leoni
Caro amico, così ti rispondo …
Franco Raimondo Barbabella
L’Apocalisse di San Massimo
“In altre parole l’amministrazione ha dato forfait, ha rinunciato a fare il Bilancio per il 2013, e dopo essersi sbizzarrita a fare marchette elettorali con riduzioni di tariffe e di tasse si consegnerà alla clemenza del Ministero e della Corte dei Conti. Così, immaginano, saranno i grigi e crudeli commissari a prendersi i vaffa e gli improperi della gente. A quel punto la gente si ritroverà con l’Imu al massimo, la Tarsu al massimo, i servizi tagliati, zero investimenti, zero manutenzioni, nessuno sviluppo. Un incubo che durerà per i prossimi 5/10 anni dove Concina o qualcun altro faranno il Sindaco della città, poiché nessuno si vorrà candidare per essere eletto senza poter decidere nulla se non l’orario dei cinema. Così, magari, anche a Orvieto ci saranno le larghe intese tra quelli che hanno fatto i debiti e quelli che non sono stati capaci di sanarli, inutilmente riuniti, con sullo sfondo lo spettro della città. È possibile fermare questo declino? Certamente, ma solo se la gente capisce e si decida ad agire e a scendere in campo. Adesso!”. (Massimo Gnagnarini – www.orvietosi -10 maggio 2013)
P. Una scena apocalittica quella prospettata da Massimo Gnagnarini dopo aver assistito alla seduta consiliare del 9 maggio in cui i consiglieri del PdL, dell’UDC, del Pd e del PSI hanno approvato la proposta della giunta di incassare la rata di giugno con le aliquote minime. Come del resto era avvenuto lo scorso anno. Infatti proprio il 9 maggio scadeva il tempo accordato da un decreto legge per prendere una decisione in merito. È ovvio che, quando il governo avrà deciso la sorte dell’IMU e il comune potrà redigere il bilancio, le aliquote dell’IMU e della TARES, oppure quelle della nuova tassa sostitutiva che stanno inventando a Roma, saranno fissate tenendo conto della necessità del pareggio e con le articolazioni che saranno possibili. La previsione apocalittica di San Massimo potrebbe avverarsi se il governo decidesse di affossare, con Orvieto, alcune migliaia di comuni italiani che non se la passano meglio. Ma le sue proposte per “fermare il declino” potrebbero essere comunque utili. Parliamone.
F. Che la situazione del nostro Comune sia grave è evidente, che sia però da descrivere con scene apocalittiche mi pare sia frutto più di soggettivo giudizio politico che non di analisi oggettiva. Il che naturalmente non vuol dire che il giudizio sia arbitrario. Per questo è giusto il tuo invito a parlarne, perché in realtà siamo ormai sul piano delle ipotesi per il futuro e dunque anche delle strategie da adottare per evitare i pericoli ritenuti esiziali e perseguire le soluzioni ritenute strategicamente valide. Se dalla grave situazione in cui siamo precipitati vogliamo uscire, di scelte strategiche dobbiamo dunque parlare e non certo di pannicelli caldi. Massimo non indica soluzioni ma si appella in modo generico ad una generica gente invitandola a scendere subito in campo. Non so che cosa intenda con questo, ma io concordo comunque su un punto cruciale: non si può continuare così, con il rinvio continuo e con l’assenza totale di strategie. Perciò debbo ripetermi. Io penso che il lavoro da fare sia ormai la paziente, e decisa, costruzione del percorso per avere nel 2014 una nuova classe dirigente che non ripeta i troppi errori e i troppi limiti già sperimentati. Si può? Forse sì, ma senza illudersi troppo, perché c’è nell’aria qualcosa di strano. Questo, ad esempio: come si spiega che ci sia già una pletora di veri o presunti candidati a tutto a fronte di una situazione amministrativa che dovrebbe far scappar via chiunque sia dotato di normale buonsenso? È normale che cittadini dotati di autentico senso civico si preoccupino di non far precipitare la situazione e siano perciò disponibili a sacrificarsi (esponendosi peraltro anche al rischio sicuro di non essere capiti), ma non capisco quella che ancora una volta si presenta come una corsa alla candidatura, come se si trattasse di una caccia agli onori e non, come invece è, un appuntamento con un duro lavoro. Resta il fatto però che dall’imbuto bisogna uscire. Noi daremo, ben coscienti dei limiti, il nostro contributo.
È colpa di chi comanda o di chi li fa comandare?
“Siamo abituati a pensare che ad ogni problema corrisponda una soluzione. Ma ci sono anche rebus che non hanno soluzioni: ad esempio la quadratura del cerchio, o l’equazione di quinto grado. Fra i rebus senza soluzione, a mio parere, c’è anche il problema politico italiano, almeno per ora. Il rebus è chiaro: se non vogliamo essere in balia dei mercati bisogna trovare 50 miliardi di euro (più tasse e meno spese), e inoltre bisogna trovarli senza provocare né una recessione né una rivolta sociale. Ecco perché penso che il rebus sia insolubile. Un’impresa come quella oggi richiesta all’Italia potrebbe tentarla solo una classe dirigente credibile. Dove per credibile non intendo solo un po’ meno corrotta e squassata dagli scandali, ma soprattutto più lucida, più unita, più coraggiosa, meno ossessionata dalla ricerca del consenso a breve termine”. (Luca Ricolfi, 8 agosto 2001)
“I nostri governanti non sono più stupidi o meno colti di altri. Né mettono meno buona volontà di altri nell’affrontare i problemi nazionali. Prodi non ha potuto governare perché la sua coalizione non aveva un programma coerente, Berlusconi non ha potuto governare perché l’intero Paese si è mobilitato per impedirglielo. La conclusione è che i colpevoli della crisi italiana non sono i nostri governanti. I colpevoli siamo noi italiani, troppo sensibili alla demagogia per essere sensibili alla voce della ragione”. (Gianni Pardo – 10 agosto 2001 www.DailyBlog.it)
“Sì, siete tutti voi i colpevoli, voi milioni di boccaloni. Voi, comportandovi come vi comportate, avete la colpa di tradire i vostri stessi interessi, che sono quelli dei molti contro i pochi, del popolo contro la cricca. Voi, plaudendo alla sceneggiata partitocratica, siete i peggiori nemici di voi stessi”. (Alessio Mannino – Fonte: www.ilribelle.com)
P. Il dilemma di due anni fa è ancora valido. L’Italia trema di fronte a un governo tenuto su con lo sputo da gente che non fa che sputarsi addosso. Tremiamo perché ci riteniamo migliori della classe politica che ci governa o perché abbiamo la coscienza sporca? È il caso di agitarsi come fanno i grillini e la base del PD o di stare buoni in attesa che passi la piena? “Quanto è difficile restare calmi e indifferenti mentre tutti gli altri fanno rumore”!
F. Già, già, “bisogna stare calmi, bisogna stare molto calmi”: per fortuna ci sono le canzoni che ce lo ricordano! E certo, la discussione continua da un pezzo sulla stessa questione: che tipo di classe dirigente abbiamo oggi e quale può essere la più adatta per tirarci fuori dai guai? Rispetto ai problemi, chi è più colpevole: chi c’è stato, chi c’è ora, chi ci poteva essere e non c’è stato, o nessuno dicasi nessuno, o tutti dicasi tutti tranne uno? Chi? Ma naturalmente io (un io impersonale), che so come mettere tutto a posto. In realtà la questione potrebbe essere risolta alla radice se accettassimo senz’altro come vero il detto che un popolo ha la classe dirigente che si merita. Solo che quella che abbiamo è talmente scadente che si fa fatica a pensare che il popolo italiano si sia ridotto così. E allora forse conviene attestarsi su una teoria un po’ più complessa della formazione delle classi dirigenti, che, quando sono realmente tali, non sono una meccanica trasposizione della mentalità e del costume popolari. Anzi, non possono (perché così dovrebbero fare) evitare di contrastare i vizi capitali che del costume popolare normalmente fanno parte, ad esempio la convinzione (spesso inautentica) che le colpe sono sempre di qualcun altro. Controprova? Chi interpreta il bisogno di cambiamento esprimendolo con il “vaffa” e il “tutti a casa”, si potrà dire che è abile a lisciare il pelo al popolo ricevendone un lauto consenso, ma non si potrà ritenere autore di un vero ricambio di classe dirigente, per cui le logiche vigenti saranno inevitabilmente riprodotte. Ciò che puntualmente sta accadendo.
Giustizia e giustizieri
“Malgrado le prove molte contrarie, gli italiani dicono ancora di «avere fiducia nella giustizia». Io non ne ho alcuna. Mi è bastato di averci avuto a che fare una volta per convincermene. A giudicare da come vengono condotte certe inchieste – in un profluvio di intercettazioni inutili – e si perviene a sentenze poi smentite anni dopo, si tratta di gente che non sa semplicemente fare il proprio mestiere o lo fa con la (paranoide) presunzione di poter disporre della vita degli altri a proprio arbitrio. Il difetto sta, evidentemente, in un concorso inadeguato a individuare preparazione professionale e attitudini personali. Così, arrivano in tribunale persone animate o solo di un senso politico-palingenetico della propria funzione o di una idea di se stessi che rasenta, più che la presunzione, la paranoia. Caro Enrico (Letta), metti mano a questo aspetto del nostro sistema giudiziario se vuoi fare opera di civiltà. Troppi italiani finiscono, non di fronte alla Giustizia, ma nelle mani di magistrati così poco responsabili e affidabili, per dire che in Italia c’è ancora la certezza del Diritto, c’è la Giustizia”. (Piero Ostellino – Il Corriere della Sera, 11 maggio 2013)
P. Il grande giornalista liberale prende lo spunto per questo sfogo da un articolo in cui Eugenio Scalfari afferma: «Giulio Andreotti è stato il vero – e mai risolto – mistero della prima Repubblica (…) È stato lambito da una quantità di scandali senza che mai si venisse a capo di alcuno. L’elenco è lungo …». Ostellino rileva che la prosa di Scalfari «non è una descrizione di Andreotti, bensì il raffinato paradigma di un’Italia della quale c’è solo da vergognarsi. Ho il dubbio che Scalfari si sia arrovellato per trovare il participio passato giusto. “Processato” adombrava reato e presunta colpevolezza; “condannato” ne certificava un’evidenza mai appurata; “assolto” rendeva contraddittoria l’idea di un Belzebù riconosciuto innocente. Così ha scritto “lambito”. Che, da un lato, col lessico tipico della Santa Inquisizione, “condanna” Andreotti al dubbio perenne di colpevolezza, peraltro, mai provata, ma sempre sospettabile; dall’altro, fotografa un Paese che confonde Etica e Politica, eleva il giudizio politico a sentenza giuridica e trasforma la diffamazione in prassi processuale e mediatica». Caro Amico, tu sai che anch’io sono stato “lambito” dalla giustizia. Per due anni mi hanno tenuto sulla graticola per un fatto che non costituiva reato e che non era mai accaduto. Tanto che la pubblica accusa dovette, alla prima udienza, rimangiarsi l’accusa e chiedere l’assoluzione per insussistenza del fatto. Non so che sarebbe successo se avessi avuto le coronarie deboli. Certo che sentii molto vicina l’anima di mio padre, che avevo perduto qualche anno prima. Anche tu sei stato “lambito”, nel tuo caso dalla giustizia contabile e con esito analogo al mio. Come la vedi?
F. Caro amico, come la vedo? La vedo esattamente come te. Io conosco la tua vicenda come tu conosci la mia (RPO). Entrambi sapevamo fin dall’inizio che si trattava di indagini senza consistenza, una vera e propria perdita di tempo. E quanto e quale tempo! Finché quel tempo non è passato abbiamo avuto la sgradevolissima sensazione che non si poteva sapere come sarebbe andata a finire. Sono proprio queste sensazioni e queste convinzioni che indicano quanto il sistema sia malato. Ma come si fa a ritenere normale che una notizia buttata là, un’indagine superficiale, un procuratore distratto, ti possono legittimamente portare di fronte ad un giudice, creandoti problemi di ogni tipo? Si dice che tutti devono essere disponibili a presentarsi davanti al proprio giudice. Certo, nessuno deve ritenersi ingiudicabile. Ma vivaddio, c’è anche un diritto alla certezza del diritto! E la sensazione oggi è invece che regna il caso e la soggettività. Devi dichiararti fortunato quando trovi un giudice che legge gli atti, ci riflette ed emette una sentenza fondata su indagini accurate e un confronto reale senza menefreghismi. Abbiamo di fronte un grande tema, una sostanziosa questione di civiltà. Tra le tante distrazioni della politica, questa è certamente tra le più gravi e tra le più gravide di conseguenze.