“Credo sia ora che la voce dei sindaci della Tuscia si levi alta contro questa forma di terrorismo generalizzata intorno alla problematica dell’arsenico”. A intervenire è Fabio Menicacci, sindaco di Soriano nel Cimino.
“La Tuscia non merita il trattamento mediatico che gli viene riservato – prosegue Menicacci – come se fossimo una terra di veleni dalla quale restare lontano; come se ci trovassimo nella fossa degli appestati dalla quale non poter uscire per non espandere l’epidemia”.
Soriano nel Cimino è uno dei tanti comuni in cui le acque sono potabili e sotto i parametri disegnati da una norma comunitaria che non ha tenuto alcun conto della morfologia territoriale, né tantomeno degli acquiferi e che dopo un decennio di deroghe (come se in questo ampio lasso di tempo il problema non esistesse o fosse risolvibile per decreto) all’improvviso ha cambiato tutti i riferimenti e specialmente stili di vita di larga parte della popolazione. L’amministrazione comunale di Soriano nel Cimino sono anni che ha adottato soluzioni che permettessero, e permettono tuttora, alla popolazione di usufruire di un bene comune e indissolubile come l’acqua.
“La Regione Lazio – prosegue il sindaco di Soriano nel Cimino – con forte ritardo ha stanziato fondi per l’istallazione dei dearsenificatori (sottraendoli comunque alla depurazione) ma se il problema è allarmante come raccontano i media o come molti ‘esperti’ ci insegnano, allora i fondi avrebbero dovuto essere tutti disponibili da subito, e non dividere gli stanziamenti e gli interventi in due annualità penalizzando i comuni che già da prima avevano adottato soluzioni compatibili con la normativa comunitaria”.
Sotto questo aspetto bisogna anche ricordare che gli interventi annoverati precedentemente i cittadini si ritroveranno a pagarli in bolletta. Lo studio e le conclusioni dell’Università della Tuscia hanno ricordato che già da tempo era possibile risolvere il problema con operazioni relative alla miscelazione delle acque con costi molto minori.
“Quello che ci preoccupa di più – sostiene Menicacci – è la facilità con cui l’Istituto superiore di Sanità dia notizia pubblica di una ricerca, peraltro mai comunicata in forma ufficiale, o ufficiosa, ai comuni che potrebbero essere interessati da alcuni dati che dipingono la Tuscia come terra da evitare. Neanche per Seveso o Chernobyl si è fatto tanto allarme mediatico”.
I sindaci si sono trovati, in forza di un decreto, a dover firmare ordinanze di non utilizzo per gli usi umani delle acque qualora l’arsenico riscontrato superasse i 10 microgrammi per litro, ordinando che con l’ acqua, la stessa che il giorno prima poteva essere utilizzata per tutto – sempre per decreto- il giorno dopo non si poteva cucinare, lavarsi i denti e se qualche cittadino avesse avuto problemi di eczema non si poteva neanche fare la doccia. Pensare che gli stessi Istituti di Sanità consigliano le cure termali per la cura dell’eczema. Nelle acque sulfuree la concentrazione di arsenico arriva a oltre 500 microgrammi per litro.
“Qualcosa non torna – conclude Fabio Menicacci – . Come non torna il fatto di non trovare più sulle etichette della maggior parte delle acque minerali la concentrazione di arsenico. Nelle ordinanze nate, anche a seguito delle informative AUSL, abbiamo evidenziato che le imprese alimentari delle zone interessate avessero dovuto provvedere ad approvvigionamenti alternativi d’acqua da utilizzare per la produzione. Bene hanno fatto le associazioni di categoria a precisare che le imprese del viterbese sono da tempo informate a tutela della lavorazione e, soprattutto, a salvaguardia della salute delle persone. I controlli sulle aziende da anni permettono di avere prodotti sani. Il territorio di Soriano nel Cimino, ma credo quello della maggior parte della Tuscia, ha garantito e continua a garantire la qualità delle acque e dei propri prodotti. Credo che, come ha detto anche qualche collega, con i consigli a tempo scaduto di professori universitari non sappiamo che farne. Sono gli stessi che ancora devono rispondere se l’uso umano delle acque sia solo quello che è stato riportato nel decreto o riguardi anche la coltivazione e l’allevamento. La maggior parte di noi ha provveduto da tempo a tutelare la salute dei cittadini e da tempo garantisce acqua e prodotti tipici che non creano alcun problema. Smettiamola, solo per notizia, di dire che il pane non è buono, che le acque non sono potabili, che i nostri prodotti sono a rischio. Difendiamo il nostro territorio da questi attacchi che non meritiamo; difendiamo questa terra dal gravissimo danno economico che ci stanno creando e, soprattutto, facciamo chiarezza altrimenti si rischiano ulteriori danni di immagine ed economici per il turismo”.