Presentare il bilancio di previsione nel mese di ottobre equivale a programmare il passato.
Un paradosso antidemocratico che azzera la funzione di indirizzo che spetterebbe al Consiglio comunale e ne vanifica quella di controllo.
Sul piano economico poi, quando, come nel caso di Orvieto, si traccheggia l’approvazione a ridosso del termine di scadenza già prorogato si producono danni reali e concreti alle casse comunali.
Infatti i provvedimenti annunciati per migliorare la parte delle entrate, giusti o sbagliati che si giudichino, consistono in un incremento delle tariffe e nell’introduzione di nuove imposte i cui relativi flussi finanziari, calcolati su base annua e così inseriti a pareggio del bilancio, potranno realizzarsi solo successivamente alla data della loro definitiva approvazione e quindi, in verità, in misura solo parziale per il periodo che intercorre tra questa data e quella di chiusura dell’esercizio al 31 dicembre.
Ad esempio la cosiddetta tassa di soggiorno che dovrebbe portare al comune circa 200.000 euro l’anno, se fosse approvata nel corso della prossima riunione del consiglio e immediatamente applicata per il 2012, potrà generare, per i mesi rimasti, solo una metà della metà delle somme previste.
Dunque fa un certo effetto sentir dire e veder scritto in una nota stampa diramata dal Comune che non sarebbe affatto urgente approvare questo ed altri provvedimenti, specie se bisogna tirare per le lunghe la discussione in una infuocata serata agostana, poiché tanto il termine per l’approvazione del bilancio è stato dilazionato al 30 ottobre. Sfugge, evidentemente, che questa data non sia quella prevista per l’approvazione del bilancio, ma soltanto il termine ultimo per poterlo fare. Non c’è stato nessun fatto o impedimento per i quali a Orvieto non fosse già stato possibile adempiere nei termini normali del 30 marzo scorso.
Ciò denota perlomeno una ignoranza sistemica delle modalità corrette di una sana gestione della politica di bilancio e suggerisce, invece, un atteggiamento più incline agli espedienti, al rinvio e al galleggiamento piuttosto che alla sostanza delle cose.
Modalità non differenti da quelle applicate dalla precedente amministrazione che nel suo comunicato il sindaco stigmatizza come : ”principi di una colpevole democrazia della spesa non coperta da entrate adeguate.”
In effetti , aggiungo, nella opacità dei conti i cittadini percepiscono come più capace chi pur avendo 100 spende 200 e non chi amministra con oculatezza. Per moltissimi anni è prevalsa questa errata percezione capace di assicurare, a ogni ciclo elettorale, un consenso rinnovato alle forze politiche che tradizionalmente hanno governato la città.
Ecco perché la qualità, la veridicità e la trasparenza dei conti pubblici è un problema di democrazia e non un mero fatto tecnico.
Poi, come avviene sui mercati finanziari dove il valore delle cose non corrisponde alla realtà , ma solo al valore percepito, anche questa sorta di bolla speculativa in veste social-amministrativa è esplosa quando qualcuno ha cominciato a far circolare voci sui debiti e sul pesante squilibrio finanziario del Comune.
Allo stesso modo un conto è dire che Concina e i suoi si sono dovuti accollare i debiti del passato e un altro è constatare che quei debiti siano ancora tutti lì senza che si sia riusciti a pagarli o a ridurli e che altri se ne siano aggiunti e che permane uno squilibrio tra spese e entrate nelle sue componenti ordinarie e strutturali.
Giacché questo era e, fintanto che resta, rimane il compito che gli elettori orvietani avevano affidato alla nuova amministrazione, temo che il tempo a disposizione sia scaduto.
Qualcosa non ha funzionato e non si tratta né delle qualità di Concina, che peraltro appartengono alla storia personale e professionale dell’uomo, né delle banali e spesso strumentali contrapposizioni tra sinistra e destra.
Bisogna cambiare di nuovo e dare un’altra chance a Orvieto senza tornare al passato.