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Home Corsivi

Gli Svizzeri. Una cascata di caramelle

Redazione by Redazione
4 Agosto 2012
in Corsivi, Archivio notizie
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(da Zorro, a cura di Gianni Marchesini)

Mia madre, la piccola Carolina Pontremoli, 1,60 scarso, vestita di nero, era un  concentrato di cultura, di energia e di miseria, condizioni che non è raro vedere insieme e dalla cui fusione si genera sempre quanto di meglio la fantasia è in grado di partorire.

 

Avrò avuto sei o sette anni quando un giorno mi sentii promettere:

 

“Si sèe bono a casa e bravo a scola domenica mattina te porto a vede’ la vetrina de “Le Svizzere”, perché la domenica mattina so’ chiuse però la vetrina se vede e allora uno se pò anche ferma’ ‘n tantino e guarda’ senza però fasse veni’ nessuna voja ché tanto è chiuso”.

 

E difatti la domenica andammo e trovammo diversi bambini con la mamma o il babbo tutti li incantati a guardare questa vetrina. Ma si poteva stare poco perché dietro altri bambini premevano per “guardare” anche loro.

E fu così che ebbi coscienza dell’esistenza de  “Gli Svizzeri”. Non lo so, forse eravamo vicini a Natale, non ricordo con precisione  ma Dio mio mi trovai davanti una tale, incredibile  cascata di caramelle che fuoriuscivano da un sacco rotto fino ad ammucchiarsi davanti al vetro quasi volessero sfondarlo per riversarsi sulla strada: arancia, limone, lampone, fragola, menta, tutti i sapori immaginabili, e poi sul piano, aveste visto,…era tutta una “spasa” di torroni, torroncini, panforti, cioccolatini e cioccolate, tante cioccolate dai nomi strani che non sapevo leggere, che nessuno sapeva leggere tranne per le etichette che dicevano “vera cioccolata” o “vera cioccolata garantita”, affermazioni necessarie dato che quelli erano i tempi dei surrogati. Surrogati di tutto, dal caffè, al tabacco, alla cioccolata, al pane che era fatto più di patate che di farina e alle scarpe fatte più di cartone che di cuoio.

E poi in un angolo ricoperto di raso colorato che brillava, Dio come brillava, c’erano altre cose che obbligavano noi bambini a ubriacarci di acquolina in bocca. C’erano biscotti e biscottini, c’erano le caramelle “Negrita” che sapevano di cioccolata, c’erano centinaia, ma forse migliaia se non addirittura milioni di cioccolatini a “sciòto” con sopra pile di dolciumi appoggiati l’uno sull’altro, e ancora bottiglie e bottigliette di Rhum e di Alkermes, pacchi e pacchetti incartati d’oro e d’argento, bacchette di liquerizia, zucchero bianco a cubetti, zucchero d’orzo  a quadretti e marmellata a  “tocchetti”!

 

E poi per finire i confetti,…! Palate di confetti, confetti rosa, celesti, bianchi,… ne avevano messi troppi in un piatto tanto che parecchi ne erano scivolati fuori,..! Chissà  che sapore avevano e qual era il colore più buono. Qualcuno disse che quelli rosa erano da donna, quelli celesti da uomo e quelli bianchi da sposa.  Feci finta di capire.

 

Di certo dopo aver guardato quella vetrina ci si sentiva sazi per qualche settimana anche perché poi tra amici se ne parlava e parlandone, si sa, le visioni si amplificano, si illuminano, si ingrandiscono:

 

-“Ah! Si ‘este visto,… ! c’erono certe cioccolate,… io l’ho vista una  grossa come un mattone,..!-

 

E un altro:

 

-”E io allora ho visto un tocco de cioccolata grosso come ‘n sercio,…!-

 

– “Io invece, tanto che voe stàssivo a guarda’, ho rimediato per terra ‘na decina de carte de caramelle nòve nòve, anche de quelle bòne co’ la negretta,…! (l’ incarto delle caramelle succhiate da altri veniva usato come figurine per i nostri giochi come la “scivolarella” o l’ “accostamuro”).

 

Un certo giorno della settimana, mi pare il venerdì, verso sera nel tratto di Corso compreso tra la farmacia Montini, il vicolo degli Svizzeri e il negozio di elettricità di Ciro Baccarini si levava un  aroma che ti prendeva al naso e ti faceva girare la testa tanto era intenso e gradito.

 

-”So’ le Svizzere che abbruscono ‘r caffè”,…!-

Ed era vero perché gli Svizzeri erano forse l’ unico negozio in Orvieto dove era possibile acquistare del “vero caffè” anche durante la guerra.

Verso i quindici anni insieme ai miei amici di quartiere come Edoardo Mattioni,i fratelli Scarmiglia e Giacomo Maggi, entrai dagli Svizzeri per la prima volta per cavarmi una delle prime voglie:

 

-Mezzo bicchiere di Seltz per uno,…!- ordinammo! ( il seltz era acqua con un po’ di anidride carbonica  che faceva le bollicine. Il commesso te la schizzava in un bicchierone da una bottiglia blu con un sifone. Altra cosa mai vista, solo sentita dire, e che ci destò grande meraviglia.

 

 

Oggi “gli Svizzeri” chiudono, la favola lunga più di un secolo sta terminando e un altro lampione sul Corso si spegne. Cosa perde Orvieto,….una scheggia, ‘na scaja, un fiore, un petalo, che cosa,…?!

 

Prendiamo un orvietano a caso, prendiamo il nostro Osvaldo Sconfìnferi, “Svardo” per gli amici. Anche lui si è fermato un milione di volte per guardare la vetrina degli Svizzeri. Ed  anche stasera e lì, però un po’ imbambolato perché vede un buco, un vuoto,…e si chiede e si ripete: -“Ma perché se ne vanno tutti,…?!- e gli vien fatto di pensare ai tanti buchi, ai tanti vuoti lasciati sulla Rupe e conclude dicendosi che: “Orvieto si è riempita di vuoti!”.

Ce n’erano di cose sulla Rupe, piccole, grosse, utili, inutili, ma ce n’ erano, e il nostro amico cercò di compilare una specie di elenco mentale di quello che non c era più.

 

E partì da lontano. Parti dal Distretto militare a S Francesco dove  i giovani  passavano la visita di leva, ripensò poi all’ 8° C.A.R. giù al casermone dove venivano addestrate le reclute, e poi all’Accademia o ISEF, quindi all’ Aeronautica a S.Agostino dove hanno lavorato nugoli di orvietani, e poi la Sip dei telefoni, l’Enel della luce, quindi il Catasto il Seminario, i Mercedari, i Lazzarini, S. Lodovico, Maria Bambina, l’Ars Wetana, i salami Basili, il Casino, la Solet, la Usl, l’Azienda Turismo, la Perugina e adesso gli Svizzeri,…!

 

E gàa che c’era volle ricordare qualche altro nome di chi ebbe bottega in quel tratto di Corso da Piazza al Moro che per generazioni gli orvietani hanno calpestato mattina e sera. E si ricordò dei Sensini, dei Capriolo, dei Barbini, della Giovanna Menchinelli, del barbiere Ciolfi, della scarpara Fravolini, della Letizia Nannarelli, di Perali l’orefice, di Fioco alimentari, negozio d’elite proprio di fronte agli Svizzeri, di Ciro Baccarini, di Dottarelli, dell’Avvocatino, di Costantini, di Angeli il cartolaio gentile che ti incartava anche una matita, di Tascini, di Giovannini, di Valeri, di Duranti, di Bracciantini ed ancora della drogheria secolare  di Monaldo Brizi, di Bernucci il fruttivendolo anarchico e poi all’inizio di Via del Duomo, dirimpettai, Castagnoli, il camiciaio elegante, e Cannone il profumiere per signora, e poi tanti,  tanti altri che Osvaldo non ricordò perché non voleva diventare noioso.

Si dice che al posto degli Svizzeri verrà aperto un grande negozio di mutande e affini.

Gli orvietani si augurano che  “i nuovi svizzeri” abbiano almeno la sensibilità di farle indossare in vetrina a un culo di cioccolata.

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