L’incipit dell’odierno editoriale lo voglio dedicare ad un amico di Amelia il quale, bonariamente ma risolutamente, non ha avuto remore a “bacchettarmi” per aver parlato in assemblea di scandali privati e impegno pubblico solo dopo recenti vicende di subornante corruzione mentre, secondo il suo sempre per me prezioso giudizio, lo avrei dovuto fare prima e con largo anticipo. Rispondo che molti dei miei ripensamenti sulla visione complessiva della mia personale esistenza sono stati il frutto di prolungate, sofferte e travagliate analisi di schietta, spassionata e perfino impietosa autocritica che ho voluto offrire, come gesto di gratuita altruità, all’attenzione dei miei concittadini e non affinché ad ognuno sia concessa la possibilità di cambiare e, auspicabilmente, di cambiare in meglio.
Spero che anche a me si confaccia una espressione attribuita a un sottile pensatore del Novecento, che ebbe a dire: “TARDI, MA IN TEMPO”.
Una delle questioni centrali di una democrazia che aspiri ad essere completo contenitore del più ampio pluralismo ideale e culturale è, senz’altro, il tema delle rappresentanze: istituzionali, politiche, sindacali, sociali e, chi più ne ha, più ne metta.
La rappresentanza, in se stessa, rientra nella variegata gamma delle deleghe che un cittadino o un più o meno numeroso gruppo di cittadini, i rappresentati, affida a un terzo cittadino, il rappresentante, perché tuteli e garantisca nelle sedi di competenza gli interessi, le istanze, le esigenze e i bisogni di coloro che hanno conferito la delega medesima. Spesso avviene che detta delega viene rilasciata in bianco e il mandato, in essa racchiuso, tende così a dilatarsi a dismisura tanto da rendersi non più vincolante e non più soggetto a controllo. In queste circostanze, il rapporto fiduciario tra rappresentati e rappresentante si incrina fino a spezzarsi con tutte le conseguenze che si possono ben immaginare.
La rappresentatività è, invece, la capacità naturale di farsi interprete dei sentimenti diffusi e della forma di pensiero comune a più persone e si estrinseca in un processo di identificazione, all’interno del quale, una parte si sente porzione del tutto e il tutto ha in sé la forza di assorbire le singole porzioni e di saperle rappresentare o individualmente o comunitariamente.
Si può, a questo punto, afferrare il concetto che non sempre rappresentanza e rappresentatività siano categorie ideali coincidenti; accade infatti molto spesso che chi, a buon diritto o casualmente, sia riuscito a divenire rappresentante di un qualcosa non sia poi in grado di essere effettivamente rappresentativo di quel qualcosa; come, al contrario, chi avrebbe in sé tutte le qualità per beneficiare del dono della rappresentatività non è detto che sia chiamato a svolgere ruoli di rappresentanza, per congiunzioni astrali non propizie o avverso destino.
E’ uno dei mali, se non il peggiore, dell’attuale fase storica della politica italiana per cui i rappresentanti del popolo non più rappresentativi della società nel suo articolato complesso determinano quella barriera, spesso invalicabile, tra Istituzioni e Cittadini.
Al fondo di tutto ciò vi è la crisi di credibilità della politica e delle sue classi dirigenti con la conseguenza che il cittadino, singolo o associato, non si riconosce più nei suoi rappresentanti poiché non li ritiene degnamente rappresentativi.
Ma la consapevolezza di quanto precede, da parte delle genti del popolo, non è di per se stessa sufficiente ad invertire l’ordine dei fattori; diviene allora indifferibile operare un necessario e coraggioso salto di qualità, ovverosia andare oltre raggiungendo la coscienza dell’assumersi la responsabilità della consapevolezza. Come?. Innanzitutto riconquistando, riconoscendola, la funzione primaria e insostituibile dell’esercizio dello “Officium Civile” che contiene, in sé, i valori dell’obbligo morale e giuridico, della fedeltà al dovere e dell’obbedienza al senso del dovere. Il resto, poi, tutto il resto non potrà che discenderne di conseguenza.
Il riconoscersi o il riconoscimento, non la riconoscenza che forse non è di questo mondo, in una istituzione di rappresentanza passa dunque, inevitabilmente, attraverso un sentito e saldo rapporto di rappresentatività.
Per concludere, la scala dei valori va quindi capovolta: è degno e valido rappresentante solo chi sa essere rappresentativo in quanto, in lui, ci si riconosce perché depositario di affermata e consolidata credibilità.
E’ un tema scottante, ma fino a quando la politica storcerà il naso in segno di rifiuto a compiere il suo naturale dispiegamento, molteplici nodi verranno al pettine più intrigati e intriganti che mai!.