La mia apertura del Ping Pong di questa settimana evidentemente dà luogo ad equivoci di interpretazione se anche Pier Luigi mi fa passare di fatto come un ingenuo razionalista che rinvia la soluzione dei problemi a quando il mondo finalmente sarà diventato perfetto. Spero dunque che mi si perdonerà se ritorno a caldo sull’argomento, ma esso è di natura tale che richiede il massimo della chiarezza delle posizioni di ciascuno. E poi lo esige il rispetto delle posizioni altrui, in particolare di quella degli amici.
Tolgo allora il primo equivoco, quello sulla fiducia nella razionalità umana. Io ho certamente fiducia nella ragione, questo straordinario strumento di regolazione della conoscenza e dell’azione che l’evoluzione o la provvidenza ci ha regalato, ma non sono certo rimasto né alle concezioni meccanicistiche settecentesche né alle ingenue aspirazioni palingenetiche romanticheggianti per cui o si trasforma il mondo intero o non vale la pena fare qualcosa. La mia è una posizione esattamente opposta: anch’io “ho imparato che non posso influire sulle piogge e nemmeno sul sole”, ma, proprio perché so che chi pretende di mettere le braghe al mondo in genere è qualcuno che non vuole o non ha il coraggio di fare qualcosa di concreto nella situazione contingente, lotto da una vita contro le false ideologie e mi impegno per trasformare la realtà per quello che è realmente possibile. Contro le ideologie, non contro le idee.
Detto questo, credo di poter togliere anche il secondo, quello del rapporto tra azioni per risolvere un determinato problema e visione in cui inserire tali azioni. Io so bene che il problema degli anziani è un problema grande che non può e non deve aspettare che maturino visioni astratte. Ma questo atteggiamento non vale forse per tantissime altre questioni? Non vale forse per i nostri giovani, per la loro formazione e per la speranza di trovare un lavoro? Non vale forse per i drammatici problemi dell’impoverimento delle persone? Non vale forse per l’indispensabile alleggerimento della pressione fiscale che sta uccidendo le persone e le imprese? Non vale forse, per il funzionamento delle giustizia, e in particolare per il raggiungimento di una almeno minimale giustizia fiscale? Non vale forse per il futuro del nostro tessuto produttivo? Ecc. ecc. Anche per questi ed altri aspetti ci si può chiedere se dobbiamo aspettare Godot.
Mi auguro che non si pensi che basti aver individuato una ipotesi di collocazione fisica dei servizi per gli anziani, in un edificio ritenuto più adatto di altri (in questo caso l’ex ospedale), perché la soluzione diventi di per sé realistica, effettivamente praticabile. Il punto che io voglio evidenziare è che se questi problemi non stanno dentro una visione ampia e aggiornata delle cose, se non si sa bene dove si vuole andare, quali sono le scelte prioritarie dentro il contesto in cui si agisce, come si trovano le risorse necessarie, come si fanno e come si realizzano i progetti, e poi come si gestiscono e anche qui con quali risorse, si cade nella trappola del fare fare fare, che inevitabilmente si tradurrà nel non fare niente.
Non c’è bisogno che sia io a dover affermare che un progetto da sogno spesso è più realistico di una timida proposta minimale. Credo che qualcuno si possa ricordare che il Progetto Orvieto, bollato al tempo con l’accusa di esser un libro dei sogni, consentì di fare interventi di risanamento e di modernizzazione strutturale per più di duecentocinquanta miliardi di lire. Mi pare anche sensato aggiungere che è proprio perché i sogni rischiano di essere realizzati che spesso hanno tanti oppositori e denigratori. E lasciatemi dire che Orvieto è in stallo da tempo e sta declinando paurosamente insieme al Paese proprio perché domina una cultura miope, falsamente realistica, che guarda solo ai vantaggi immediati, ed esclude perciò a priori visione larga, progettualità, lavoro di lungo periodo ovviamente da impostare e sviluppare nel presente.
Per concludere. Non escludo affatto che l’ex ospedale sia la soluzione migliore per il problema dei servizi agli anziani. Ma se sarà una soluzione ideologica resterà sulla carta, come è successo finora per questo e per molti altri temi. Se ad esempio non ci sarà una strategia di rilancio dell’economia, su cui anche il governo locale può fare molto, non ci sarà nessuna soluzione né per gli anziani, né per i giovani, né per il lavoro, né per la cultura, ecc. ecc. Insomma, siamo proprio sicuri che maturare una visione delle cose da fare e vedere come risolvere un problema specifico in tale contesto, è una perdita di tempo, è un’attesa del niente, è un aspettare Godot? O non è forse proprio il problema dei problemi, dunque quello più urgente? In definitiva so che quando parlo di progettualità e di programmazione per un bel po’ di gente sono noioso, ma l’invocazione del fare presto, se non è accompagnata da quella del fare bene, si traduce quasi sempre nel rinvio alle calende greche. E oggi, con l’aria che tira, che ha proprio odore di Grecia, è esattamente come aspettare Godot. Datemi retta, si fa prima e meglio nell’altro modo. Certo è più fatica, ma forse c’è anche più soddisfazione.