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Home Cultura

Selezione dal Comune Nuovo

Redazione by Redazione
8 Agosto 2013
in Cultura, Secondarie, Archivio notizie
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Selezione dal Comune Nuovo inizia oggi e diventerà un appuntamento settimanale.  

34 anni fa iniziava la pubblicazione de “Il Comune Nuovo – periodico sociale cristiano”.

Come è nella natura delle cose, i redattori di quel mensile, che sarebbe continuato ad uscire per molti anni, non sono tutti sopravvissuti. L’ultimo ad andarsene, lasciando nel lutto tutta la comunità di Orvieto, è stato il maestro Mauro Sborra. Cittadino veramente esemplare, ottimo educatore e cultore di storia locale, con una passione particolare per la documentazione fotografica, il maestro collaborò con “Il Comune Nuovo” soprattutto curando la rubrica “Orvieto ieri”. Vogliamo cominciare proprio da Mauro Sborra nel rendere omaggio ai redattori scomparsi scegliendo alcuni esemplari della loro collaborazione.

 

mauro_2Gli ultimi tre giorni della Repubblica Romana in Orvieto

di Mauro Sborra

 

Venerdì 13 Iuglio 1849 – Le avanguardie garibaldine giunsero a Porta Cassia, ma l’eco dei disordini che avevano provocato strada facendo e della scarsa sensibilità alla disciplina li aveva preceduti. Per questo il Comune decise di inviare un Comitato alla Porta, con il compito di convincerli a non entrare in Città, al fine di evitare possibili incidenti, ed a ritirarsi all’osteria d Paglia, dove avrebbero ricevuto una deputazione autorizzata a raccogliere le loro istanze. Nel frattempo Garibaldi, con il grosso della truppa, circa 4000 uomini, giungeva a Prodo. II che sollecitò il Comune ad inviare senza indugio la promessa delegazione all’osteria di Paglia, composta dal colonnello Ravizza, dal capitano Felici e dai consiglieri Ricchi e Muzi.

I Garibaldini chiesero, e sollecitamente ottennero, viveri, foraggi, sigari e 57 scudi in denaro.

La mattina successiva, sabato 14, un aiutante in campo di Garibaldi era a Porta Rocca con una scorta armata e, minacciosamente, chiese di entrare in Città.

mauro_3Trattandosi di una graduato, fu introdotto tra le due Porte della Rocca, e con ogni cautela venne invitato a parlare. Era il nostro concittadino Pietro Stagnetti, la cui venuta fu interpretata come chiara dimostrazione dei propositi non ostili di Garibaldi. La chiusura delle porte del dì precedente fu al centro della discussione: Stagnetti, visibilmente indignato all’inizio, finì  per riconoscere valide le ragioni che avevano portato a quella deliberazione. Chiese allora 4.500 razioni in pane, carne salata e vino, 500 foraggi e la strabiliante somma di trentamila scudi d’argento.

Venne invitato in Comune con la recondita speranza di convincerlo a modificare il tenore della richiesta, almeno per la cifra che, effettivamente, era astronomica. In quella occasione ebbe in dono una spada. Ma sembra che il Comitato nulla avrebbe ottenuto senza il provvidenziale intervento del cognato e dei fratello dello Stagnetti. E la parola «provvidenziale» non fu mai adoperata a proposito come nel nostro caso! Infatti, dopo alcune ore di accesa discussione, la richiesta fu ridotta a 2.000 scudi d’argento.

Molti cittadini contribuirono, con i loro risparmi, a mettere insieme quella cifra, che al tramonto era comunque disponibile.

Ma la giornata fu caratterizzata da altri notevoli episodi! Appena mezzogiorno, alcuni Lancieri, per inavvertenza delle guardie, erano riusciti ad entrare in Città, provocando molta apprensione. Fu necessario l’intervento autorevole dello Stagnetti per farli rientrare al campo. Scongiurato questo pericolo, se ne presentò uno ancora più grave, qualche ora dopo: il generale Garibaldi, essendo venuto a  conoscenza che le sue avanguardie, il giorno precedente, non erano state accolte in Città, era salito con un drappello di soldati alle porte Cassia e Pertusa. Ed avendole trovate sbarrate, fortemente contrariato, aveva ordinato la guardia esterna delle porte stesse ed il taglio dei pioppi per tentare la scalata. In tale delicata situazione, cercare di opporre una qualsiasi resistenza equivaleva a far correre un inutile pericolo alla popolazione. Tre componenti del Comitato, pertanto, si recarono in delegazione dal Generale. Questi era molto accigliato, ma ben presto mutò il suo atteggiamento fino a divenire decisamente cortese. Venne allora invitato a salire in Città, con la preghiera di lasciar fuori la truppa. Accettò di buon grado, promettendo che nessun soldato sarebbe salito senza suo ordine espresso. Infatti lo accompagnarono solamente la moglie Anita ed alcuni aiutanti di campo, tra i quali, naturalmente, lo Stagnetti,  di cui già abbiamo fatto conoscenza.

In Comune, dove venne ricevuto, sia pur senza grandi entusiasmi, con la massima deferenza, si mostrò estremamente conciliante. Accondiscese, ad esempio, a che non si fosse celebrata in Duomo la messa per le sue truppe, come alcuni dei suoi più stretti collaboratori avevano richiesto. ed anzi scrisse l’ordine con il quale proibiva al suo esercito di entrare in Città.

Il conforto di tale assicurazione si tramutò in sbigottimento I’indomani mattina – domenica 13 – nel vedere le vie della Città pullulanti di Garibaldini. La notizia che le truppe francesi erano ormai prossime aveva notevolmente modificato la situazione, ed ora le esigenze militari non lasciavano spazio ai compromessi.

La Città era nelle loro mani. L’Intendente generale Gaggini fece formale richiesta di 700 paia di scarpe, di vari cavalli e di camicie. Il Comune, chiaramente, non era in grado di rifiutarsi di accoglierla. D’altra parte le intenzioni dei Garibaldini si erano già chiaramente manifestate con l’espoliazione della cassa camerale e del converto di San Domenico… Seguirono ore d’intensa emozione e sgomento! Al tramonto, le ultime retroguardie garibaldine abbandonavano Orvieto, incalzate da presso dalle truppe francesi che, alle ventidue, presero possesso della Città, dopo averne preteso completa illuminazione.

L’indomani, il generale Morris, riunita in Comune la Rappresentanza Municipale e l’Autorità Giudiziaria, decretava caduta la Repubblica Romana.

Garibaldi nel frattempo aveva raggiunto l’alto corso del Tevere nel vano tentativo di aprirsi una strada verso la Repubblica di Venezia.

(Il Comune Nuovo, anno I, n. 8-9, agosto-settembre 1979)

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