ORVIETO – Lunedì 10 marzo si è riunita nella Sala delle Quattro Virtù del Comune di Orvieto la Conferenza dei capigruppo del consiglio comunale per l’audizione della presidente della Fondazione Centro studi “Città di Orvieto”, Liliana Grasso, il cui cda ha terminato il mandato e si trova attualmente in regime di prorogatio in attesa delle nuove nomine.
“Per comprendere pienamente la situazione in cui si trovava la Fondazione all’inizio del nostro mandato – ha detto la presidente nella sua relazione introduttiva – è essenziale analizzare l’evoluzione dei contributi istituzionali ricevuti dal 2000 al 2024. Il Centro Studi è nato nel 2000 con un contributo iniziale del Comune di 100 milioni di lire, con l’obiettivo di creare un polo universitario a Orvieto. Nei primi anni, l’amministrazione comunale, insieme agli altri soci fondatori – Fondazione CRO, Provincia di Terni e Camera di Commercio – garantiva contributi annuali compresi tra 360mila e 422mila euro, con un picco di 410mila euro annui tra il 2001 e il 2005. Dal 2008 al 2011 si verifica una drastica riduzione dei finanziamenti, coincidente con l’uscita dei soci dalla Fondazione. Il Comune di Orvieto, che nel 2008 contribuiva con 160mila euro, ha ridotto drasticamente il proprio supporto, scendendo a soli 10mila euro nel 2009 e 2010.
Dal 2020, l’importo è risalito a 20mila euro annui. Il 2012 segna un punto di svolta con l’emergere del debito nei confronti della cooperativa Carli, che ha cambiato radicalmente la gestione del Csco. In 25 anni, il Centro Studi ha ricevuto complessivamente 3 milioni 452mila euro di contributi pubblici. Tuttavia, l’analisi dei risultati di esercizio evidenzia un paradosso gestionale significativo: gli anni con i finanziamenti pubblici più elevati sono stati quelli con i peggiori risultati di bilancio.
Al contrario, gli ultimi due mandati si sono chiusi in utile, con l’unica eccezione del 2020, anno segnato dal Covid e dalla sospensione delle attività formative, in particolare quelle legate alle università americane. Questo dato conferma che la sostenibilità del Csco non può più basarsi esclusivamente sui contributi istituzionali, ma deve poggiare su una gestione attenta e su strategie di sviluppo indipendenti”.
“Il debito nei confronti della cooperativa Carli – ha proseguito – rappresenta l’80% del debito complessivo del Csco. La cooperativa ha fornito servizi di pulizia e guardiania presso la sede dell’ex ospedale. Dai bilanci emerge che nel 2004 il Csco ha smesso di pagare le fatture alla Carli, accumulando quell’anno un debito di 88mila euro. Nel 2010, la cooperativa ha richiesto il pagamento integrale delle somme dovute. Tra il 2004 e il 2007, quando i contributi istituzionali erano ancora significativi, il debito ha superato i 300mila euro. Non è mio compito fare una valutazione sui motivi che hanno portato i cda di quegli anni a non pagare le fatture.
Nel 2011, l’importo complessivo ha superato i 426mila euro. Nel 2012, la Carli ha ottenuto un decreto ingiuntivo per 102mila euro e, nel 2014, il debito totale ammontava a 330mila euro. In quell’anno, il presidente Tonelli ha siglato un accordo transattivo con la Carli, proseguendo il lavoro già avviato dal suo predecessore, Pasca Di Magliano. L’accordo prevedeva una rata annuale di 25mila euro, un impegno difficile da sostenere per il Csco, le cui entrate nel 2019 si attestavano intorno ai 148mila euro. Infatti, il cda di allora è riuscito a versare la rata intera in un solo anno. Le difficoltà nel rispettare il piano hanno portato a ritardi nel rientro del debito e all’accumulo di ulteriori interessi. Per affrontare la situazione, nel 2023 è stato stipulato un nuovo accordo che ha ridotto la rata annuale da 25mila a 12mila euro. Grazie a questa revisione, il debito è sceso a 224mila euro.”
“Per raggiungere questo livello di analisi – ha proseguito la presidente – il cda ha lavorato per un anno ricostruendo un archivio che, di fatto, non esisteva. Un risultato che rivendico è proprio la ricostruzione della storia e dell’archivio del Csco. Nel nostro mandato 2020-2024, i primi due anni sono stati particolarmente difficili a causa della crisi Covid. Nel 2020, il lockdown ha costretto la Fondazione a sospendere le attività, ma il bilancio si è chiuso con una perdita contenuta di 13mila euro.
Nel 2021, abbiamo registrato il primo risultato positivo con un utile di 8.500 euro, segnale che la strategia adottata dal cda cominciava a funzionare, nonostante l’assenza delle entrate dai corsi delle università americane. Abbiamo infatti lavorato per costruire una strategia indipendente dal contributo istituzionale e dalla base costituita dai corsi tenuti dalle università americane. I risultati successivi hanno confermato la validità di questa impostazione: nel 2022, l’utile è stato di 27mila euro, salito a 29mila nel 2023 e a 38mila nel 2024, dato prudenziale in attesa della chiusura del bilancio. È l’utile più alto mai registrato dalla Fondazione. Sul fronte patrimoniale, siamo passati da un saldo negativo di 568mila euro nel 2020 a -466mila nel 2024, riducendo il debito complessivo di oltre 100mila euro in cinque anni, di cui un anno e mezzo in piena emergenza Covid. Un risultato frutto di una gestione attenta e rigorosa. La nostra strategia è stata chiara: creare da zero un settore di progettazione culturale e sociale per reperire risorse di sviluppo, costruire una rete di co-progettazioni e collaborazioni solide, sostenere l’alfabetizzazione digitale della comunità con progetti come il Digipass e il Punto Digitale Facile, diversificare l’offerta formativa e programmare interventi a lungo termine. Sorprende che un ente di formazione culturale non avesse avviato prima queste attività. All’inizio non è stato facile, perché la reputation del Csco non era delle migliori.
Oggi la situazione è cambiata: da almeno due anni riceviamo numerose richieste di partnership solide, grazie a un lavoro di connessione con il territorio e oltre. I proventi del Csco sono cresciuti dal 2021, passando da 162mila euro ai 190mila del 2024, dato ancora in aggiornamento”.
“Dal 2020 al 2024 – ha continuato – il Csco ha attivato 70 corsi con 288 iscritti e ha offerto servizi di facilitazione digitale a 1.455 persone. Abbiamo ospitato 756 studenti della Kansas State University e 672 dell’Arizona, collaborato con 47 docenti e formatori, organizzato 60 eventi in sinergia con enti e associazioni, e fornito 52 servizi.
Sul fronte della progettazione, abbiamo ottenuto 15 finanziamenti, di cui 7 da bandi regionali, 6 nazionali e 2 call europee, un traguardo mai raggiunto prima dal Csco. Abbiamo inoltre sviluppato una rete di 41 partner di progetto, di cui 36 nazionali e 5 europei. Questi numeri raccontano il nostro lavoro, ma l’impatto sociale di un’istituzione culturale non si misura solo con dati quantitativi. Conta la qualità delle attività, le relazioni costruite e la capacità di valorizzare il territorio.”
“Abbiamo condotto un’analisi SWOT del nostro mandato – ha spiegato – per individuare le dinamiche che hanno caratterizzato questi cinque anni. Tra i punti di forza emergono la collaborazione istituzionale e la costruzione di una rete solida di relazioni, l’indipendenza decisionale e la trasparenza nella gestione, la capacità di adattamento e innovazione, la resilienza nel fronteggiare le crisi, la valorizzazione del patrimonio culturale e locale e il mantenimento di un equilibrio di bilancio negli ultimi tre anni. Le principali criticità riguardano le risorse finanziarie limitate e la necessità di rafforzare la visibilità nazionale e internazionale.
Il coinvolgimento del pubblico, in particolare dei giovani, rappresenta una sfida, così come la sostenibilità a lungo termine. La localizzazione in un’area interna e il bacino d’utenza ristretto incidono sulla capacità di attrarre nuove energie. Il debito continua a essere un problema rilevante.
Il controllo dell’Ente da parte dell’amministrazione comunale è un elemento ambivalente: da un lato può essere uno strumento utile per la governance locale, dall’altro impedisce al Csco di diventare un ente del Terzo Settore, limitando l’accesso all’80% dei finanziamenti disponibili nel nostro Paese. Le opportunità si concentrano sulla possibilità di accedere a nuovi finanziamenti europei e nazionali, sull’espansione dell’offerta formativa, sul potenziale dell’innovazione digitale e sullo sviluppo di nuove partnership. Le minacce derivano dalla dipendenza dai finanziamenti pubblici, dalla difficoltà di attrarre pubblico e studenti, dall’aumento dei costi operativi e dal fisiologico turnover del management, che porta inevitabilmente cambiamenti.
Alla luce di queste considerazioni, rifletto su un tema che spesso emerge: l’idea di riconsiderare un percorso universitario per la città di Orvieto. Per esperienza, credo che il target e il bacino d’utenza siano limitati. Il numero di abitanti è ridotto e l’età media è elevata. Inoltre, nel raggio di circa un’ora di viaggio ci sono già le università di Perugia, Roma, Firenze e della Tuscia. La soluzione quindi a mio avviso non è la creazione di un polo universitario, ma piuttosto lo sviluppo di percorsi formativi innovativi. Un ITS potrebbe essere una scelta più adatta al contesto e più sostenibile nel lungo periodo. Concludo – ha terminato – con un ringraziamento personale ai colleghi del cda, al personale della Fondazione, ai fornitori e ai consulenti che, soprattutto nei primi anni, hanno creduto in noi e ci hanno dato fiducia. Un ringraziamento speciale va agli uffici del Comune, con un’attenzione particolare al settore Cultura e alla segreteria del sindaco, per il supporto e la collaborazione. A tutti voi va la mia profonda gratitudine.”
Nella seconda parte della seduta, la presidente Liliana Grasso ha risposto alle domande dei commissari.
“Abbiamo portato avanti un lavoro significativo, ma resta un debito di 466mila euro. In queste condizioni, per risolvere definitivamente il problema saranno necessari almeno dieci anni. Durante il nostro mandato, oltre alla gestione del debito storico, abbiamo affrontato un’emergenza imprevista legata alle cartelle esattoriali emesse dall’Agenzia delle Entrate per sanzioni su contributi non versati negli anni precedenti, di cui il 90% riguardava l’Inps. Abbiamo aderito a tutte le rottamazioni e rateizzazioni disponibili e pagato quanto dovuto, ma non posso garantire che la questione sia definitivamente chiusa.”
“Il nodo centrale del Csco è la sua attuale natura giuridica, che oggi non permette nemmeno di avviare percorsi di co-progettazione con il Comune. È quindi necessario individuare la forma giuridica più adatta per garantirne la sostenibilità e lo sviluppo. Valutare il futuro del Csco non è semplice, ma da un punto di vista tecnico ritengo che debba proseguire lungo le direttrici già individuate. È fondamentale continuare con la progettazione culturale e sociale, anche con finalità commerciali, e rafforzare le attività di alfabetizzazione digitale, considerando che il divario in questo ambito resta elevato, sia sul territorio che a livello nazionale. Inoltre, sarebbe opportuno ampliare le attività, ad esempio fornendo assistenza tecnica per le Aree Interne, un’opportunità finora preclusa proprio a causa della struttura giuridica della Fondazione.”
“Per quanto riguarda la mia permanenza alla presidenza, ci tengo a sottolineare che tutto il lavoro svolto in questi anni è stato il risultato di un impegno collettivo del cda. A livello personale, mi è sempre più difficile confermare la mia disponibilità, perché diventa complesso conciliare questo ruolo con i miei impegni professionali. Se dovessi individuare un profilo adatto alla guida futura del Csco, vedrei una persona giovane, con una forte propensione all’innovazione. La trasformazione del Csco è necessaria, ma il peso del debito rende il percorso complesso.
Una possibile soluzione potrebbe essere quella di affiancare alla Fondazione un ente del Terzo Settore, creando una struttura parallela che possa operare in sinergia. Qualunque sia la direzione scelta, è fondamentale che il percorso venga costruito in modo collegiale, coinvolgendo l’intero consiglio comunale. In questo contesto, la politica, nel senso più alto del termine, deve riprendere il suo ruolo, perché è l’unica via per superare divisioni e contrapposizioni e costruire un futuro solido per il Csco”.
“Nel totale del debito, oltre a quello con la cooperativa Carli, rientra anche il residuo di 100mila euro nei confronti dell’Università di Perugia. L’ex presidente Tonelli aveva concordato una rateizzazione di 10mila euro l’anno, che si sommava ai 25mila euro annui destinati al pagamento del debito con la Carli. Ritengo che siano state saldate solo due rate. Non abbiamo affrontato questa questione perché abbiamo deciso di dare priorità alla risoluzione del debito con la cooperativa Carli, una scelta dettata dall’impatto sociale che una mancata soluzione avrebbe avuto sulle persone e le famiglie del territorio. Altrettanto urgente è stata la gestione del debito con l’Agenzia delle Entrate e il pagamento dei Tfr arretrati del personale, mai liquidati in precedenza.”