Lorenzo Maitani, progetto della facciata del Duomo
Appena si entra nella medioevale Orvieto e si ammirano i suoi capolavori d’arte ci si rende subito conto di trovarsi in un mondo di cui si sono perduti quei ‘codici narrativi’ che ce lo renderebbero più vicino e attuale. Al tempo delle cattedrali gli uomini vivevano completamente immersi nella forza di simboli e ideali che ne plasmavano la società.
Le stesse immagini dell’arte non erano dei fumenti, ma forme di comprensione della vita, parallele a quelle della scienza e della filosofia, dove confluiva tutta l’esperienza spirituale delle generazioni passate. Un mondo mistico quello delle cattedrali in un tempo segnato dal passaggio di guerre, carestie e pestilenze e da “contrasti continui, in cui tutto s’imponeva allo spirito, infondendo alla vita quotidiana un impeto, una emotività senza uguali” (Huizinga, Autunno del Medioevo). Per giungere a realizzare un ciclo pittorico come quello della cappella del Corporale ci sono voluti circa dieci anni e, magari, per dipingere una sola scena sono stati impiegati mesi, senza considerare che le persone avevano sotto gli occhi quegli affreschi da quando nascevano a quando morivano: praticamente tutta la vita.
È il contrario di ciò che avviene oggi, quando si pensa che basta una visita di appena mezz’ora o poco più per dire di aver visto la Cattedrale. Uno sguardo qua e là, qualche notizia scaricata da internet e poi via, lasciandosi alle spalle l’esperimento! Da abbattere non sono dunque solo le barriere architettoniche, ma quelle culturali. L’attenzione all’accessibilità dei nostri monumenti è ormai imprescindibile per una comunità che sia veramente accogliete, consapevole del valore di quanto possiede e responsabile della propria mission in un Paese che è l’emblema dei tesori d’arte nel mondo.
Cappella del Corporale
È la comunità locale il vero marketing turistico che quando sa accogliere, sa progettare, sa innovare, non lascia che i turisti guardino il duomo ma li guida a vederlo veramente, e cioè a farli incontrare con quell’universo di simboli e significati che da sempre hanno chiamato l’umanità a ritrovare il suo anelito alla vita e alla speranza. È da un laboratorio d’idee che potrebbe nascere un nuovo turismo improntato sulla “economia di bellezza”. Uno strumento ideale per rispondere al cambiamento epocale che riguarda non solo i beni culturali in sé, ma anche le Istituzioni che debbono aprirsi a tutti coloro che si fanno portatori di idee, d’esperienza e di creatività. Occorre stimolare Città e Regioni a credere in una rinascita a partire dalla nostra cultura storica e dall’enorme patrimonio che abbiamo ereditato, perché insieme a chiese, palazzi, piazze, teatri e monumenti c’è anche l’insieme immateriale di saperi e buone pratiche.
Un contributo particolare viene dal Protocollo d’Intesa tra Conferenza delle regioni e Conferenza episcopale italiana, firmato il 6 luglio 2017. Una grande novità per diffondere la cultura attraverso una forma di valorizzazione sempre più “narrativa”, “esperienziale”, “generativa”, così come è stata definita dal documento ‘Bellezza e speranza per tutti’, pubblicato dalla CEI nel settembre del 2018. Qui si parla esplicitamente di collaborazione “ai fini turistici dei beni e del patrimonio culturale, storico artistico ecclesiastico“.
Proprio ora che le nostre città sembrano in procinto di essere sommerse da un turismo sempre più “mordi e fuggi”, diventa quanto mai urgente dare sostanza a quel diritto alla cultura che tutti a parole definiscono universale ma su cui pochi lavorano per renderlo davvero tale.