“Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). Fratelli e sorelle carissimi, l’evangelista Giovanni afferma in modo possente che Dio non solo “è venuto ad abitare in mezzo a noi”, ma si è fatto uno di noi (cf. Gv 1,14), è entrato Lui stesso nella condizione umana. “Il mistero cristiano – osserva Papa Francesco – ama nascondersi dentro ciò che è infinitamente piccolo. La piccolezza, infatti, è la strada per incontrare Dio”.
“Molte volte e in diversi modi, nei tempi antichi” (Eb 1,1), Dio annuncia a Israele la nascita del Messia, ponendo sulle labbra dei profeti questa lieta notizia: “Tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio” (Is 52,10). Nella “pienezza del tempo” il Signore manda l’angelo Gabriele in una città della Galilea, chiamata Nazaret, alla Vergine Maria, della quale Egli vuole aver bisogno per dare inizio, con il suo assenso, all’opera della redenzione (cf. Lc 1,38). Mentre un decreto di Cesare Augusto ordina di fare “il censimento di tutta la terra” (cf. Lc 2,1), Dio spalanca a Betlemme la “porta santa” del cielo.
Questo solenne rito di apertura è accompagnato da un profondo silenzio (cf. Sap 18,14); solo gli angeli osano far sentire il loro canto, l’inno del Gloria, destando dal sonno i pastori che, giunti a Betlemme senza indugio, “trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia” (Lc 2,16). La Madre di Gesù ascolta, con l’orecchio del cuore, la testimonianza resa dai pastori (cf. Lc 2,19); sembra che la distilli, lasciando la parola agli occhi, grondanti di stupore, che filtrano la “luce gentile” di quella “placida notte”, in cui nell’umiltà del presepio risplende una “scintilla d’eternità”.
Fratelli e sorelle carissimi, “è apparsa la grazia di Dio, che porta la salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a vivere con sobrietà, con giustizia e con pietà” (Tt 2,11-12). Parafrasando questo annuncio – proclamato dalla liturgia della Parola nella Messa della notte –, si potrebbe dire che l’Incarnazione del Verbo ci sollecita ad assumere la “postura” della discrezione, che qualifica il “portamento” di Maria, la quale – scrive Papa Francesco nell’enciclica Dilexit nos – “sapeva dialogare con le esperienze custodite meditandole nel suo cuore, dando loro tempo”. La discrezione è sobrietà nelle parole, è spazio lasciato al silenzio dell’ascolto, è limpidezza nello sguardo, è sapiente misura nel linguaggio dei gesti.
La discrezione manifesta la nobiltà d’animo: è una vera e propria epifania di quella eleganza interiore che sa fermarsi, in punta di piedi, sulla soglia del mistero della libertà altrui, senza violare “il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio”, la coscienza. La discrezione, una sorta di “antidoto” alla curiosità, è il “balsamo” della confidenza, che ha lo stupore e la meraviglia come “nardo prezioso”.
La discrezione è capacità di avvicinarsi, come brezza leggera, senza invasioni di campo; è disponibilità a congedarsi senza voltarsi indietro. La discrezione è una delle forme più genuine di gratuità: non ha interessi e, tanto meno, secondi fini. Sa essere discreto solo chi è veramente libero, chi ha il senso della misura, della temperanza, della riservatezza, della delicatezza, della gentilezza, del decoro.
La discrezione assomiglia tanto al ritmo del polso, sonoro e insieme silenzioso, quanto alla luce, che non mette in mostra i propri colori. Come si evince dalla radice della parola latina discretio, la discrezione rende affidabili, capaci di “farsi da parte senza mettersi in disparte”, di diventare invisibili senza scomparire, di “assistere alla propria assenza” come diceva Marcel Proust. Non è solo una questione di buone maniere, convenzioni sociali, falsa modestia: essere discreti significa prediligere l’identità al posto della visibilità, l’essere sull’apparire.
Fratelli e sorelle carissimi, c’è bisogno di “anime discrete”, come quelle di Maria e Giuseppe che, nell’ineffabile liturgia del silenzio, mantengono un rigoroso riserbo con l’eleganza propria di chi non sa ostentare. Lasciamoci evangelizzare dalla loro discrezione che, nel presepio, li ritrae accanto a Gesù bambino e nascosti nell’umiltà. La pietà popolare ha riservato molti titoli alla Vergine Maria, “l’ha rivestita di mantelli e corone e fatto indossare gioielli che non le sono mai appartenuti”; eppure Ella, nella sua disarmante semplicità, conserva immacolata la bellezza di Dio, la grazia di fare spazio a Lui solo, a cui “nulla è impossibile” (cf. Lc 1,37). La discrezione della Madre di Gesù ci ammaestri; il silenzio di Giuseppe ci educhi; la semplicità dei pastori ci affascini; lo stupore degli angeli ci aiuti a tenere fisso lo sguardo su Gesù, “adagiato nella mangiatoia” (cf. Lc 2,16).
+ Gualtiero Sigismondi