di Mirabilia Orvieto
All’apparenza si mostra inaccessibile ai nostri passi. È la Cappella del Corporale nel Duomo di Orvieto; un mistico tempio così prezioso, quale niente di simile si conosce in terra. Nell’anima dei pellegrini che, pregando di fronte alla reliquia del miracolo, vedevano l’ostia che volava in paradiso dopo la morte di sant’Ugo o che data da mangiare a un pesce la restituisce intatta al sacerdote, fino alla particola che si trasforma in un bambino davanti a crociati e musulmani, nasceva uno slancio d’amore capace di squarciare l’ignoranza frapposta tra gli uomini e Dio. Nella cappella non c’era nulla di scontato. Gli affreschi contenevano un originale compendio delle più affascinanti leggende e racconti popolari del Medioevo, tramandati dal Nord al Sud Europa, per illuminare il popolo di Dio sul mistero divino dell’eucarestia. A meravigliare i fedeli non poteva mancare l’apparizione del Graal, il calice della Passione di Cristo, e la misteriosa figura del cavaliere dell’Apocalisse che Ugolino di Prete Ilario ritrae nella volta, all’ingresso della cappella. Sopra il suo bianco destriero, egli contempla, come nel romanzo di Boron, la visione di un’ostia celeste donata da Cristo al centro del firmamento. All’osservatore non può sfuggire la presenza di una nube che indica e, nello stesso tempo, oscura la vista dell’eucarestia. Cosa significa questa nube?
Agostino, Gregorio Magno, Bernardo di Chiaravalle, Ugo di san Vittore, Eckart, Bonaventura e Tommaso d’Aquino, insegnarono nei loro scritti il mistero della nube. Essa è la “non-conoscenza” che si riverbera nell’eucarestia e nel segreto in essa racchiuso. E se da un lato la nube ripara dall’abbagliante luce di Dio, che si sprigiona come un sole dall’eucarestia, dall’altro, pur oscurando, rischiara… disvelando quella presenza del divino che conduce alla soglia del suo mistero. Il cavaliere avanza impavido fissando lo sguardo sulla nube, anche se non vede oltre. Tutto ciò che incontrerà sulla via è lì per insidiarlo e per far naufragare l’anelito verso Dio. Ha un’andatura spedita, sicura, solenne, che sgorga dalle profondità più intime e nascoste dell’animo e “punta direttamente a Dio come una scintilla che si sprigiona dal fuoco“.
Come i Magi alla nascita di Gesù, così anche lui scruta sapientemente le stelle per trovare il luogo dove Dio abita. Esperto nell’arte del viaggiare e del ricercare, è stato eletto a campione in difesa del coraggio e della virtù. La nube gli ricorda che nella corsa solitaria, quasi eremitica, verso la salvezza eterna dovrà sempre avere a che fare con la “mancanza di conoscenza, che proprio come una cosa che è oscura, non si riesce a vedere se non con l’occhio dello spirito“. Questo è il cuore che palpita nel cavaliere… un cuore pieno d’amore che penetra e attraversa l’oscurità della nube.
Varcando la porta d’ingresso della cappella, i fedeli dubbiosi e vacillanti si chiedevano “cosa sarà che dobbiamo cercare?”. Il cavaliere sembra rispondere con queste parole: “Apprestati dunque, o fedele ramingo, a restare in questa oscurità più a lungo che puoi, e non smettere di sospirare per colui che ami. Infatti, se mai dovrai vederlo o sentirlo in questa vita, sarà senz’altro in questa nube e in questa oscurità” (Anonimo del XIV sec.).
L’immagine del cavaliere diventava allora l’emblema dell’Occidente, di una civiltà vocata alla ricerca del difficile tesoro da conquistare. Nel suo lungo e periglioso viaggio verso l’eucarestia, il cui bene materiale e spirituale è nascosto agli occhi dei profani, l’eroe cristiano deve ignorare qualsiasi “falsa immaginazione o stranezza di pensiero“, fosse anche il più nobile e persino santo, e rivestirsi del solo “nudo desiderio di Dio” che lo attira su fino a quella nube, come una calamita con il magnete. Il cavaliere corre, corre verso il premio finale, poiché sulla terra non c’è tesoro più grande e prezioso dell’eucarestia, dono d’immortalità, che solo una fede pura e incrollabile può comprendere e amare!