di Renato Piscini
Come detto nel precedente scritto il fatto di aver voluto scegliere candidati all’interno delle mura, solita storia tra Filippeschi e Monaldeschi, sarà l’ennesima occasione persa, per la città, di una vera rivoluzione culturale ed economica. Le radici perdute e volerle replicare ci porterà ad un destino incompiuto pieno di incertezze senza ruoli visibili ed esclusivi. I candidati in campo appena all’inizio già inciampicano su piccolezze, minimalismi, forzature senza una vera padronanza del fare politica vera, visto anche le loro provenienze, annov erando possibili identità, discontinuità, eccezione. Anche la numerosa platea, oltre che di sindaci, di liste crea confusione e depredazione di preferenze senza un costrutto vero.
Sicuramente valide e appassionate le intenzioni ma calate sul sopito di una città oramai destinata a ruoli di lato sul piano investimenti, sanità, cultura etc. Povero Palazzo dei Congressi, ex Caserma Piave, ex Ospedale, emergenze e contenitori storici, saranno come figli illeggittimi di una patria senza arte, né parte, destinati ad attenzioni una tantum di opere e uomini di buona volontà al d’uopo usati.
Quid est Orvieto! Una possibile pietra di inciampo di qualche bonista o complementarità di eventi culturali, turistici, economici? Sicuramente sarà il caso no certo una reale mutamento creato e indotto da politiche attive di visione. Le categorie di città scialbe o qualificate sta nel loro essere centro di eventi, forte Pil interno, di centri turistici complessi, di demografia in rialzo. Sic stantibus res non c’è n’èper nessuno.
Destino di città variabile a secondo di dinamiche esterne e il destino, non avendo intrapreso una vera scommessa di futuro con persone e programmi: infatti non vi è traccia. Immersi i protagonisti nella corrente del divenire oppure affioranti tra possibili coincidenze e diversita’ di vedute. Volatilizzato le speranze rimane agli elettori la scelta del meno peggio. Qualche indicazione di futuro era stata data ai protagonisti in campo ma le logiche di una comunita’ invischiata nelle nebbie dell’epoca etrusca e dello Stato della chiesa ha prevalso anche su chi aveva recepito il concetto del disincanto. Per alcuni sembra saggio: fermi un giro.