di Mirabilia Orvieto
Sta per concludersi l’Anno di Signorelli. Ma la fruizione del Duomo e dei suoi capolavori continuerà a rimanere la stessa. Entrare nella cattedrale e visitare velocemente la cappella, aiutandosi con l’uso di qualche mini-guida e poi via: questa è la “liturgia turistica” che si ripete ogni giorno. Ma parlare di innovazione in una città così statica e non abituata ai cambiamenti, non è certo facile.
Il duomo sarà sempre il punto da cui partire per qualsiasi politica turistica ed economica anche se necessita di un’attenzione particolare verso l’attività di comunicazione del patrimonio ecclesiastico: “La valorizzazione di chiese e cattedrali – afferma il presidente del FAI, Andrea Carandini – ha la funzione di tradurre il mondo delle cose in una comunicazione e narrazione storica, resa comprensibile e interessante ai grandi pubblici che segnano la nostra epoca“. Nasce perciò il bisogno di creare itinerari comuni e personalizzati, come le mostre digitali interattive, capaci di guidare il visitatore alla riscoperta dell’arte.
Dalla cappella del Corporale, che in una mirabile unità fra teologia e leggenda invita il turista a immergersi nella spiritualità medioevale, alla cappella Nuova o di san Brizio, dove l’irruzione del nudo è posta a simbolo della più grande rivoluzione culturale di tutti i tempi, il Duomo ha sempre più bisogno di quegli strumenti di “mediazione culturale” che diano la possibilità a chiunque di comprenderlo, ammirarlo e contemplarlo. Insomma un vero e proprio viaggio di scoperta o riscoperta dei grandi capolavori fino a conoscere di ‘persona’ l’artista che li ha creati, la sua visione del mondo e di Dio.
Il nostro dovere è cogliere tutta la carica innovativa di opere distanti nel tempo, ma così sorprendentemente attuali: “L’arte -diceva un celebre aforisma di Edgar Degas – non è solo ciò che si vede, ma ciò che consente agli altri di vedere“. I luoghi sacri, come il Duomo di Orvieto, non sono semplici contenitori culturali: essi parlano e raccontano di un modo di concepire l’esistenza e i rapporti umani, la speranza dell’uomo davanti al dolore e la sconfitta, il senso dell’eternità e della felicità nascosti nelle pieghe della storia. Insomma fare un’esperienza artistica significa dilatare il proprio mondo di conoscenze e di emozioni, significa sviluppare quel senso di appartenenza al territorio che ci rende non solo uomini, ma cittadini del mondo come afferma la Dichiarazione delle Nazioni Unite all’articolo 6.2: “Le arti devono essere incoraggiate quale strumento di formazione e crescita di consapevolezza nel campo dei diritti umani“.
Nel passato la comunità dei credenti entrava nelle cattedrali per ammirarne la bellezza, per farsi ispirare da essa, per evocare il divino e farlo presente nella vita quotidiana immedesimandosi, con il cuore e la mente, nelle immagini impresse sulle pareti. Ora tale metodo di comunicazione e di linguaggio rischia di perdersi, mentre questi capolavori diventano muti; l’interpretazione dei luoghi d’arte sembra rimasta ferma a categorie linguistiche e concettuali che non dicono più nulla, che non riescono più a parlare alle gente, e che quindi non sono più percepibili dall’uomo moderno.
È praticamente impensabile promuovere i nostri beni culturali senza conoscere i loro messaggi, in breve senza incontrarsi con la loro ‘anima’ che è anche l’Anima d’Europa. Oggi si parla sempre più di ricerca dell’anima dei luoghi, del loro Genius loci: se collegati alla nostra vita, alla nostra esperienza personale, questi luoghi diventano attuali trasformandosi in ‘luoghi dell’anima’. Per questo “il legame tra la città e il suo territorio – spiega Luciano Dottarelli, membro della Società Filosofica Italiana e dell’associazione Club per l’Unesco – è fondamentale per capire e trasmettere quell’insieme di simboli e immagini che costituiscono lo spirito più profondo, l’anima, l’essenza del suo patrimonio culturale e storico“.