
di Mirabilia Orvieto
È di questi giorni la notizia del mancato nulla osta, da parte del Dicastero per la Cultura e l’Educazione Cattolica, al prof. Lintner per la nomina a preside dello Studio Teologico di Bressanone, e l’annuncio del nuovo prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, accompagnato da una lettera di Papa Francesco che descrive in modo nuovo i compiti del Dicastero.
I due casi pongono al centro una questione centrale nella Chiesa: il rapporto tra magistero e teologia, tra chi governa e chi ha il compito della ricerca e dell’approfondimento del messaggio evangelico. Senza entrare nei dettagli si può così sintetizzare. Con il passaggio all’anti-modernismo cattolico dei primi 60 anni del 900, si è potuto arrivare, istituzionalmente, ad una formulazione del rapporto tra teologia e magistero che nel nuovo codice canonico del 1983 ha trovato un assetto molto più chiuso e rigido rispetto a quello del 1917.
Nelle motivazioni contro la nomina dello stimato professore si parla che le sue idee non offrono un “religioso ossequio dell’intelletto e della volontà” al magistero autentico della chiesa, e per questo si pongono al di fuori di ciò che è consentito ad un teologo “obbediente”. Attualmente è chiaro come il ruolo del teologo, visto nel suo prezioso e delicato compito di ricercare la verità, è riletto all’interno di un rapporto con un magistero concepito nella sua versione prevalentemente negativa, e cioè che si esprime in termini di dottrine erronee o eretiche, opinioni rigettate, ecc.
La normativa in vigore persegue l’obiettivo di difendere il magistero ordinario da ogni obiezione e critica, evitando un confronto serio e proficuo con il pensiero moderno. Ne consegue un atteggiamento più chiuso e rigido di quanto non fosse previsto nel codice del 1917, con il conseguente rafforzamento dell’autorità intesa non più come servizio finalizzato al bene degli uomini, ma come organo di “proibizione e di divieto” a cui si deve praticamente una cieca obbedienza. Nonostante i profondi motivi di ripensamento introdotti dal Concilio Vaticano II su tale questione, prevale ancora una visione di Chiesa acritica, in piena contraddizione con il suo principio vitale che ha nell’apertura, nel dialogo e soprattutto nella ricerca della verità il suo centro identificativo.

Come si sarebbe potuto pervenire al riconoscimento della libertà religiosa se non vi fossero stati teologi e laici impegnati e disposti a porre in questione in termini critici, e pubblicamente, gli insegnamenti allora in vigore? La libertà di coscienza non è stata forse la più grande conquista del Concilio Vaticano II? Eppure oggi sembra di assistere a un ritorno al passato che, in nome dell’amore e del “quieto vivere”, incoraggia la censura e l’autocensura che si giustificano addirittura per legge dando origine a gravi abusi.
“Procedure come quella messa in campo dal Dicastero per la cultura e l’educazione cattolica – si legge nella lettera aperta sul caso del prof. Martin Lintner – riflettono usanze di controllo e di sanzionamenti purtroppo a lungo consolidate e appartenenti a una visione ecclesiologia superata. Esse contraddicono parte della sua stessa missione e rendono poco convincenti molti tentativi di rinnovamento istituzionale, avviati da Papa Francesco. Un potere che sfugge a ogni istanza di confronto e di trasparenza non può mai essere immaginato ed esercitato nel nome del Signore”. Ma, alla fine, anche i ghiacciai si sciolgono! Fare Chiesa è prima di tutto un atto di civiltà, di umanità, di attenzione reciproca che esige la capacità di cambiare invece che guardare al passato, di camminare al passo con i tempi, con una società e con una storia che non sono mai statiche ma dinamiche. C’è sempre la tentazione del comando ad ogni costo che si rapporta con gli altri per possederli, per imprigionarli nelle proprie categorie, e che si abbatte freddamente su chi non vuole essere omologato.








