*Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell’autore o sono usati in maniera fittizia*
di Dante Freddi
A fine luglio tutti avevano sostenuto gli esami di maturità. C’era rimasto soltanto Antonello Baciarello, detto Sparacino, perché per gli orali era uscita la C e lui era il penultimo di tutta la sessione di quell’anno nella sua scuola. Aldo Cari, detto Bomba, e Sparacino erano quelli del gruppo che frequentavano L’istituto per Geometri, lassù nella piazza di San Francesco. Dicevano di avere sostenuto esami brillanti e che si aspettavano voti buoni, che meritavano una gran vacanza e che bisognava prepararsi alla festa.
Carlo Sansoni era il liceale del gruppo, liceo classico, bravissimo , media vicino al 10, tirchissimo, non aveva mai offerto un caffè a nessuno pur avendo una piccola ma continua disponibilità di denaro garantita dal padre maresciallo dell’esercito e dalla madre maestra. Lui sarebbe andato in vacanza insieme agli altri, ma « mi occuperò soltanto dei cavoli mei» aveva precisato. Poi c’era Ein, diminutivo di Einstein, Benedetto Carlini, un geniaccio che si era diplomato a Terni in meccanica, famiglia di commercianti, capitato in quel gruppo perché amico di Santino Salotti, che abitava vicino a lui ed erano cresciuti insieme. Ein aveva conquistato presto gli amici di Santino e tutti insieme facevano vasche per il corso, parlavano di futuro, niente di politica, molto di donne, pur senza avere particolari esperienze, tranne Aldo, che proprio in quei mesi era violentato con continuità da un’amica della madre e ne era molto soddisfatto.
Carlo aveva una tenda familiare, due camere, quattro posti comodi, in più la cucina. Gliela aveva prestata la sorella, più grande, sposata, con un bambino piccolo, che quell’anno sarebbe andata in campeggio a settembre. Un’occasione grandiosa, ma bisognava andare vicino perché gli unici mezzi disponibili erano la Vespetta 90 di Bomba, il Ciao di Santino, la Vespa 50 di Sparacino, la Lambretta truccata di Ein, il bellissimo Benelli di Sansoni, che tutti guardavano con invidia ma su cui nessuno era riuscito a montare, tranne Ein, che gli aveva pulito le candele e anche praticato qualche magheggio per spingere un po’ il motore. Gratis, ovviamente. La scelta fu orientata da Sparacino, perché la sua famiglia aveva una casa a Bolsena e lui l’estate stava sempre lì. Un punto di appoggio sarebbe stato comodo, data l’inesperienza di tutti. Partenza il 2 agosto, finiti gli esami e pubblicati i risultati.
Che la situazione di Sparacino non fosse tranquilla fu chiaro quando, uscito dagli orali, raccontò di essersi scontrato con il commissario di Italiano sulla valutazione del pessimismo leopardiano. Diceva di avere sostenuto con forza la tesi che Leopardi non fosse affatto pessimista, tesi che il suo professore di Italiano aveva accennato una volta e che a lui piaceva tanto. La verità è che andò male in tutte le materie scritte e orali, che il suo curriculum era pessimo e la bocciatura era la logica conseguenza. Tutti gli altri ragazzi, più o meno brillantemente, furono promossi, persino Bomba. Eccellente Sansoni, che per festeggiare il suo risultato si fece pagare la colazione da Ein. Per i genitori di Sparacino la bocciatura passò incolpando il commissario di Italiano che non conosceva Leopardi e sul carattere “sparacino” del figlio. Se lo levarono di torno spedendolo a Bolsena, insieme alla nonna e al fratello minore. Avrebbe ritardato di un anno il militare e questo non li scuoteva, anzi, sarebbe stato più vicino al fratello, piuttosto scapestrato. E poi a bottega di famiglia, florida e in crescita, il diploma sarebbe servito a poco.
Fu rispettato il piano organizzativo e quella colonna di motorini partì da piazza della Repubblica con destinazione Camping il Lago, proprio sul lungolago di Bolsena, notoriamente frequentato da olandesi e qualcuno diceva che c’erano o c’erano state anche svedesi. Borse a tracolla, sacchetti legati al sellino o appesi al manubrio, con dentro abbigliamento, alimentari e speranze di straordinarie avventure.
La tenda l’aveva già montata al Camping il cognato di Carlo, che dopo la loro vacanza pensava di stare lì qualche giorno con la sua famiglia. C’era tutto il necessario, fornello, gas, pentole, mobiletto e piatti di plastica che avrebbero lavato e riutilizzato. Durante il viaggio continui sorpassi e accelerazioni, a seconda della gioia prorompente di qualcuno di quei ragazzi che trascinava gli altri, il Benelli di Sansoni sempre avanti. Arrivarono verso le undici di mattina, in tempo per guardarsi intorno, fare un bagno e preparare il pranzo. Mangiarono penne all’arrabbiata. In cucina Sansoni, a cui la madre aveva insegnato il disbrigo di tutte le faccende domestiche e che aveva portato con sé due barattoli di sugo e altri alimentari che avrebbe messo a tavola con la consueta parsimonia nei giorni successivi, unendoli alle cibarie dei suoi compagni, sempre più generosi di lui. « Non siamo mica venuti per mangiare» ricordava sempre. Poi pesche e le albicocche di Sparacino, appena colte a casa sua di Bolsena, mature, succose, profumate, grosse. Intorno al tavolo del campeggio iniziarono a progettare una strategia per ottenere il massimo da quelle giornate di vacanza, soprattutto in termini sessuali. Erano bei ragazzi, mediamente un bel gruppo, anche simpatici, perfino Sansoni, purché non gli si chiedesse di offrire qualcosa e di dividere le spese alla romana, che riteneva un’ingiustizia nei suoi confronti, contrario al consumo e al consumismo e quindi sempre in remissione data la sua parchezza.
Sulla loro destra campeggiava una famiglia olandese, con una ragazza giovanissima che faceva sperare. Aveva sorriso a quei ragazzi appena arrivati, aveva fatto il bagno vicino a loro, aveva tentato di farsi capire da Bomba, senza successo. Se tanto dava tanto, non sarebbe sfuggita alle mire di qualcuno dei cinque o anche a più di uno. Così speravano. Di fronte, proprio al di là dello stradello, tre ragazzi francesi e quattro ragazze, in due grosse tende. Stavano su dei seggiolini o a terra e appoggiavano il cibo su un piccolo tavolo dove avevano pane e affettati che mangiavano con gusto.
Quella compagnia francese andava capita, per non perdere tempo a volte fossero accoppiati, anche se una ragazza era certamente libera, indipendentemente da quale fosse. Non si poteva guardare tanto per il sottile. Il camping era piccolo ma affollato e ogni tanto si vedevano passare lì davanti a loro belle ragazze straniere, soprattutto olandesi, ma anche qualche italiana: andavano al bar, proprio a lato della loro tenda, piantata in posizione cruciale. Il pomeriggio trascorse tra bagni e spaparacchiate in spiaggia, sempre con l’occhio vigile e i sensi tesi a cògliere le opportunità che l’estate, la gioventù e la gran voglia di vivere paravano innanzi. I ragazzi avevano tutti studiato il francese per la durata delle medie inferiori e delle superiori, ma soltanto Carlo lo parlava un po’, gli altri capivano se si parlava lentamente, ma le risposte erano talmente ridicole che i francesi scoppiavano in clamorose risate quando i più audaci, Sparacino e Bomba, si inerpicavano in un faticoso approccio, chiedendo sempre a Carlo Sansoni di intervenire e tradurre.
Bene o male però, tra gesti e parole, il rapporto si avviò, tanto che a cena decisero di mangiare insieme. Adrien, Ethan, Mathis, i ragazzi, si avvicinarono alla tenda di Sansoni portando il loro tavolinetto, due seggiolini, qualche panino, e un po’ di affettato rimasto a pranzo. Aimée, Chloé, Dorothée, Faustine , le ragazze, acquistarono Coca Cola e tre o quattro mozzarelle. I ragazzi misero sul loro tavolo quasi tutto quello che avevano: parmigiana, salsiccia sott’olio, mortadella, mezza forma di pecorino, un filone di pane cotto nel forno a legna di Silvana, il forno sotto casa di Salotti. Sansoni, che aveva messo il sugo del pranzo, pensò che risparmiare qualcosa fosse un bene e si dimostrò irritato quando Ein tiro fuori le due bottiglie di vino, rosso e bianco, che avevano dentro la tenda, nel piccolo frigorifero. « Così vi ubriacate, come al solito» inveì. « Attiva il cervello Ca’, abbandona la povertà» rispose Ein « non sarà una bottiglia di vino a non far tornare i conti. E poi il vino è mio e ‘me lo gestisco io’», continuò adattando uno slogan delle femministe che andava di moda in quei tempi.
La cena fu allegra, serena, tanti sguardi per comprendere le dinamiche dei due gruppi. Bomba era certamente il più sicuro di sé e si còglieva per il ruolo che aveva assunto nei gruppi. Tagliava il pane, distribuiva roba, offriva vino, tentava di farsi capire e di capire. Aveva una donna di quarant’anni, figurarsi conquistare qualche femminucia, perlopiù francese, pensò tra sé. I ragazzi francesi erano piuttosto mosci, ma si capì subito che Adrien stava con Faustine. Carezze, baci, tenerezze. Gli altri erano soltanto compagni di scuola che avevano deciso di trascorrere insieme le vacanze. C’era un grande spazio per realizzare i sogni di conquista con cui erano saltati sui motorini la mattina. Il giorno dopo si unì al gruppo anche la ragazza olandese, che conosceva abbastanza l’italiano, perché andava a Bolsena fin da piccola. Qualche parola di bolsenese stretto suscitava simpatia e stupore, rendeva facile parlare con lei, simpatica e proprio bella quella sera, sistemata dentro una camicetta bianca e una minigonna jeans che non riusciva a nascondere nulla.
Bionda, capelli a caschetto, occhi marrone scuro, labbra sottili ma armoniche in quel viso ovale. Proprio bella, pensò Santino, che si voleva dedicare a quella conquista, pur consapevole della concorrenza serrata di Bomba, che tentava di accreditarsi un po’ con tutte, senza concentrazione, disordinatamente, come era lui. Si chiamava Anna. Il giorno dopo stettero insieme quasi tutto il tempo, ma mangiarono ciascun gruppo per sé. A pranzo Sparacino portò in campeggio due teglie di pomodori con il riso e patate arrosto, inzuppate dal succo del pomodoro e dall’olio, cucinati nel forno a legna. Non bastavano per tutti per cui non ci furono inviti. Tra bagni e chiacchiere e sguardi si cominciarono a sistemare le preferenze, senza tener conto dei ragazzi francesi, che non sembravano particolarmente interessati alle compagne, ma alle bottiglie di vino che tenevano al fresco nel frigo di Carlo, che però durarono soltanto quel giorno e la sera.
Dopo cena fecero tutti insieme, Anna compresa, una passeggiata verso il molo. Tanta allegria, senza ragione, soltanto un inno alla gioventù, di cui sentivano la gioia prorompente, che sgorgava da dentro e diventava un salto, un abbraccio, un grido. Seduti sul molo, si alzò Bomba e propose di organizzare per il giorno dopo una cena straordinaria. Mathis propose una “fondue”, una fonduta al formaggio che diceva di saper preparare bene. Bomba e Santino si offrirono per andare a casa e rifornirsi di vino. Potevano prendere quattro o cinque bottiglie ciascuno dalla cantina senza che i genitori se ne accorgessero. «Io porto il mostro vergine del babbo, meglio dello champagne», affermò con sicurezza Santino.
Al mattino il solito bagno facendo finta di saper nuotare bene, ma senza pinne sarebbero affondati dopo poche bracciate. Anna era una sirena e Santino era sempre lì vicino. Quella ragazza gli sembrava più adatta per lui, timida e aggraziata com’era, soprattutto di fronte a quelle francesi scatenate e vitali e traboccanti, più adatte a Sparacino o Bomba. Ormai i ruoli si stavano delineando e il progetto che animava i giovanotti procedeva, lentamente ma verso un ineluttabile successo, il cui obiettivo finale, però, era confuso e quando ne parlavano emergeva l’inesperienza e la debolezza delle conoscenze, mal costruite su qualche raro filmino porno che avevano visto. «Tutto quanto rimediamo è molto di più di niente» sostenne con decisione e definitivamente Ein. All’ora di pranzo Bomba e Santino tornarono al campeggio e portarono, oltre a vino abbondante, due bottiglie di salsa di pomodoro appena fatta, che condì un’abbondante spaghettata, con basilico, olio a crudo, un po’ d’aglio. « Poco aglio raga’» pretese Sparacino per non compromettere i rapporti da vicino.
Nel pomeriggio andarono ad acquistare Emmental, Fontina e pane. Verso sera si radunarono intorno alla tenda di Carlo, come a celebrare un rito. In mezzo, su un fornelletto a gas piazzarono una pentola, quella in cui avevano cotto la pasta, e Mathis iniziò a strofinare aglio nelle pareti, con forza, finché non fu convinto che quel profumo avrebbe inondato il formaggio a tocchetti che gettava dentro. Poi aggiunse tre o quattro bicchieri di vino bianco, mise la pentola sul fornello e accese il fuoco. Intanto Faustine bruscava fette spesse di pane su una bistecchiera, che poi tagliava a cubetti e poneva in una zuppiera. Il formaggio iniziò a sciogliersi e Mathis controllava senza sosta a che punto fosse il composto. All’improvviso il richiamo:«Allez les gars, c’est prêt» . Tutti si radunarono, anche chi aveva capito soltanto dai gesti e dal comportamento degli altri. Seduto con le gambe incrociate introno al fornello seguirono la liturgia suggerita dal cuoco. Mathis prese una forchetta, infilzò un cubetto di pane e lo infilò con decisione nella pentola, arrotolò e porto alla bocca.
Si fermò un attimo, assaporò, si rivolse soddisfatto ai compagni e affermò: «C’est bien». Tutti fecero altrettanto, con un po’ di confusione iniziale, soddisfatti. Il braccio di Santino sfiorava quello di Anna e i due intingevano il loro boccone quasi contemporaneamente, dimostrandosi il gradimento del cibo con ammiccamenti. Iniziarono a girare le bottiglie di vino e i brindisi avevano ogni volta un augurio nuovo. Si brindava alla vita, alla fine della scuola, all’amore, a Bolsena, a Mathis, a Bomba, soprattutto dopo l’apertura della prima bottiglia di quel vino vergine, che esplose dal collo della bottiglia e si sparse gioioso sui ragazzi. Arrivarono i genitori di Anna e anche loro sorsarono quel vino fresco e vivace, un inno materiale alla vita. Si raccomandarono con Anna che bevesse poco e se ne andarono.
Dopo un paio d’ore era finita la fondue e quasi tutto il vino. La musica che veniva dal bar li invitò a ballare, balli lenti, soltanto lenti, quelli che interessavano a tutto il gruppo e che permettevano l’euforia, insieme però alla stanchezza e al vino. Poi si spostarono tutti sulla spiaggia e tra canti e parole e qualche mano nella mano uno iniziò a entrare in acqua e poi altri, finché non furono tutti a bagno. Le cose andarono come dovevano a quell’età e si formarono coppie, qualche bacio, teneri sguardi, gioia straboccante, pienezza. Niente di più, ma tanto. Andarono a letto in ordine sparso, ma si trovarono tutti la mattina nella tenda di Carlo, compreso Sparacino, che non era riuscito a tornare a casa dalla sbornia. Confusi, dolenti, vagamente contenti si trovarono intorno al tavolo e Santino serviva la prima macchinetta di caffè. Arrivò Andrea, il fratello di Sparacino, e subito il fratello lo spedì a casa per prendere i biscotti e quella crostata che sapeva. « Prendi il motorino, stai attento e muoviti», gli disse. Ormai erano tutti lì fuori in attesa di mangiare qualcosa e più in là anche i ragazzi francesi, che si stavano svegliando con movimenti lenti. Arrivò Andrea di corsa, piagnucolante, e rivolgendosi al fratello «Antonè, io non c’entro niente, non è colpa mia. Mi hanno centrato in pieno e il motorino è mezzo storto. Io non ho colpa. Andavo tutto sulla mia sinistra e quello mi ha …» .Non fece in tempo a finire che dal gruppo si alzò all’unisono un grido «Andrè, ma vaffa…» .