*Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell’autore o sono usati in maniera fittizia*
di Dante Freddi
Il primo sole della giornata non riusciva ancora a penetrare in quella via ripida e stretta e schiariva soltanto l’orizzonte, che si scorgeva laggiù, tra i merli dell’antica porta che si apriva alle colline intorno. L’aria era frizzante a quell’ora e il chiarore del giorno si spargeva lento nella piazzetta a capo di via della Cava.
Osvaldo Carletti scese veloce le scale di casa, aprì la porta sulla piazzetta, raggiunse la cinquecento che usava ogni giorno per girare in città. Celeste, sportelli controvento, la parcheggiava ovunque. Era giovedì e doveva andare al mercato presto, come tutti i giovedì, per lavoro. Si occupava di assicurazioni e aveva diversi clienti tra gli ambulanti, anche di fuori, di Bolsena e Montalto. Un po’ d’aria e la macchina si mise in moto subito, con quel rumore del motore, quello della cinquecento. Un brontolio tentennante, poi un’accelerata e diventava regolare, costante, sicuro e annunciava la partenza.
Non erano ancora le sei quando Carletti imbucò a tutto gas la via della Cava.
A una cinquantina di metri dalla porta frenò per arrivare sicuro allo stop ed entrare nella strada che costeggiava la rupe, da cui avrebbe raggiunto il mercato. La Cinquecento roteò, una, due, tre volte e si fracassò su uno dei fianchi della porta e poi rimbalzò sull’altro, dove si fermò con un fragore che svegliò tutti sulla via.
Francesco Moretti, proprietario di un genere alimentari proprio adiacente alla porta, si affaccio attratto dal baccano. Stava sistemando la bottega e si preparava agli avventori del giovedì di mercato. Corse verso l’auto, vetri tutti rotti, fiancate ammaccate, la parte avanti rientrata. Soltanto il retro, dove era alloggiato il motore, non aveva subito troppi danni. Carletti era rimasto incastrato, il volante era arretrato e lo pigiava, la testa frantumata contro il vetro laterale. Era morto, non c’erano dubbi.
Moretti telefonò al commissariato e arrivarono velocemente sia la polizia che l’ambulanza che i pompieri. Il corpo fu estratto dai pompieri con qualche difficoltà. Il commissario Santoni, romano, a Orvieto da una decina d’anni, fece pochi passi per accorgersi che la strada, da una cinquantina di metri in su, era cosparsa d’olio di motore, troppo per essere stato perso da una cinquecento. Tornò verso l’auto e aprì il vano motore. Controllò il livello e l’olio era tutto al suo posto.
Qualcuno aveva gettato olio d’auto sulla strada o il liquido era stato perso da qualche mezzo.
Carletti era stato ucciso, volontariamente o no. Insieme ad altri colleghi analizzò con attenzione ogni centimetro di via della Cava e fu facile dedurre che l’olio era sparso da un punto preciso per tutta la larghezza della via e che era dilavato per una decina di metri verso la porta. Sarebbe stata sufficiente una frenata per causare quel disastro. Anche i pompieri arrivarono alla stessa conclusione. E così anche il tecnico che analizzò l’auto il giorno dopo. Omicidio.
A Orvieto non c’era stato un omicidio dai tempi della guerra e Santoni si trovò innanzi un problema a cui non era preparato.
«Bisogna avvertire i famigliari», disse il commissario rivolto al suo ispettore. «Subito», continuò incalzando ,«prima che lo sappiano da altri». L’ispettore Balso, tracagnotto, con una pelata distesa circondata da una chierica di capelli tenuti da luminosa brillantina, a Orvieto da pochi mesi, salernitano, iniziò la salita della Cava fino alla piazzetta dove era la casa di Carletti. Suonò alla porta che gli avevano indicato, ma nulla, nessuna risposta. Due donne, una dalla finestra e l’altra da una porta affacciata sulla piazzetta di fronte a casa di Carletti, spiegarono all’ispettore che l’uomo viveva solo dalla morte della madre, avvenuta quattro anni prima. Ogni tanto ci capitava qualche donna, ma sempre diverse, per poco tempo e di sfuggita. «Cosa significa di sfuggita», tentò di approfondire l’ispettore, convinto che quella sarebbe potuta essere una pista. «Che qualcuna entrava di nascosto, in ore strane, cercando di non farsi vedere. All’ora di pranzo o a notte tarda, guardandosi intorno. Era uno che piaceva alle donne ed era pieno di quattrini».
Soldi e sesso, pensò l’ispettore, come nei manuali. Balso tornò velocemente dal commissario, giù alla porta, e lo informò delle notizie raccolte, suggerendo con discrezione che si sarebbe dovuto indagare su donne e affari.
«Prendi due uomini e vai al mercato. Senti tutti, raccogli informazioni e pettegolezzi ».
Il mercato era già pieno di vita. Gli ortolani del piano del Paglia avevano organizzato i propri banchi. Carciofi, insalate, carote, bieta, fave, cipollotti freschi. Poi c’erano i bolsenesi con le primizie e i commercianti che avevano anche la frutta fresca e secca. Roba che veniva da fuori, soltanto le fragole erano di Montalto o Grotte di Castro, il resto era conservato. Era passata da poco Pasqua e il mercato non aveva ancora il rigoglìo di prodotti come d’estate, quando frutti e verdure traboccano da quei piani di legno.
Bolso si accostò al banco di Giovannini, ortolano storico, sempre presente in ogni stagione, magari soltanto con rape o biete o misticanza o cicoria di campo. Era un suo fornitore di verdure, uno che conosceva.
« Giovannini, tu conosci Osvaldo Carletti? è sempre qui il giovedì e il sabato».
« Lo conoscono tutti qui, magari chi più e chi meno»
« Perché qualcuno lo conosce più e altri meno? »
« Ovvio, a seconda di quali affari ha con lui»
« Parliamo di assicurazioni, no?»
« Bhe, non è soltanto un assicuratore»
« E cosa fa?»
« Lo sanno tutti. Fa il cravattaro. È il suo mestiere e ha un giro d’affari turbinoso, soprattutto di questi tempi»
Balso fu contento che la pista “soldi” si fosse consolidata. Se ci fosse stato anche il “sesso”, sarebbe stato perfetto. Ora bisognava trovare i clienti e studiarli. Tornò al Commissariato e informò Santoni, che già sapeva di questo mestiere di Carletti per un paio di denunce che aveva raccolto negli anni precedenti, e riunì tre poliziotti che sarebbero dovuti andare subito al mercato per raccogliere più testimonianze possibili. Fu facile convocare una decina di persone, perché l’ufficio dello strozzino era il bar in fondo alla piazza e quindi tutti sapevano o immaginavano. Nessuno avrebbe preso un caffè con Carletti se non fosse stato necessario, proprio per non essere inserito nella lista dei suoi debitori. Chi voleva mantenere una certa riservatezza, invitava Carletti a casa sua o andava da lui, sempre di pomeriggio tardi, quando sicuramente c’era.
Il commissario Santoni, ben saldo sulla sua poltroncina, schiena appoggiata e braccia conserte, aveva di fronte Fulvio Bertolini, imprenditore agricolo di Montalto di Castro, fruttivendolo.
«Signor Bertolini, mi dica di Osvaldo Carletti. So che ha affari con lui. Viene a visitare il suo banco tutte le settimane, chiacchierate, prendete il caffè».
«Sì, abbiamo interessi insieme nella gestione di un’attività agricola che produce verdura e la commercializza nei mercati dal mare a qui. A Orvieto vengo io perché è l’occasione per fare i conti e organizzare il lavoro. Buon amico, da anni. Ma perché me lo chiede? cosa è accaduto? ».
«Mi dispiace darle un dolore. Carletti è morto, un incidente stradale. Forse un omicidio».
Bertolini impallidì, sorpreso, inquieto, ma non sembrava dispiaciuto.
Il commissario lo incalzò:
« Sa se avesse affari con qualche altro commerciante, magari anche un rapporto difficile».
«Che io sappia aveva affari con molti e qui il giovedì e il sabato incontrava decine di persone. E non certo per fare quattro chiacchiere» .
« Bertolini, guardi che so che Carletti prestava quattrini e che non era tanto delicato nei rapporti con i suoi debitori. C’è qualche affare particolare di cui si parla? qualche affare per cui qualcuno poteva odiarlo? ».
« Qualcuno? Decine, decine di persone lo avrebbero visto volentieri morto e la sua scomparsa non dispiacerà a nessuno, anzi? se poi ci mette che c’è anche chi ha dovuto incoraggiare la moglie a non fare troppo la schizzinosa di fronte alle avances di quel maiale, la fila si allunga e si fa più dolente» .
La platea dei sospettati si allargava.
Bertolini faceva nomi e raccontava fatti.
Ne uscì un quadro fosco di soprusi e violenze, di disperazione. Il denaro era il mezzo intorno a cui girava il mondo di Carletti e che gli serviva per soddisfare tutte le sue esigenze. Tutto il suo piacere derivava dai quattrini e dalle difficoltà delle persone che incontrava.
Cose e sesso si potevano comprare.
Una volta, con stupore, ottenne anche l’amore.
La figlia di un agricoltore di Ischia di Castro, che era andata a casa sua per pagare il mensile, si era innamorata di lui. Era nato un sentimento, avevano vissuto insieme per alcuni mesi. Poi finì, perché il giro di gente che frequentava quella casa le aveva mostrato un uomo che non si poteva amare. Non si può amare chi hanno ragione di odiare tutti gli altri.
Molti degli interrogati confermarono storie e giudizi. Tutti avevano una ragione per ammazzare Carletti e un alibi per l’alba di quel giorno. Ma erano alibi che non garantivano la copertura dei pochi minuti necessari per spargere una latta d’olio su via della Cava. Dopo giorni di interrogatori e storie e sospetti , non c’era una traccia che valesse seguire più di altre.
Il commissario aveva scoperto un mondo sconosciuto e insospettabile. Famiglie prospere in mezzo a una strada, aziende tenute in piedi da costosissimi prestiti e destinate a cambiare padrone inesorabilmente, attività floride già divenute proprietà di Carletti e gestite da prestanomi. Le case erano l’investimento preferito, perché comprava a poco e vendeva a tanto. Gli era capitato perfino di guadagnare milioni soltanto con un giro del corso, raccontò uno che conosceva qualche sua faccenda. Acquistò una casa a piazza Duomo e la rivendette a piazza della Repubblica con un guadagno milionario.
Erano trascorsi giorni e ogni notizia di turpitudini rendeva più complicata la soluzione.
Aveva selezionato cinque o sei piste e le seguiva a fondo insieme al suo ispettore, con tenacia e professionalità. Venne a conoscenza anche di altri reati, commessi dai debitori del morto, che per uscire dalla cravatta di Carletti avevano rubato e truffato. Ma niente, nessuna prova, nessun indizio.
Dopo una ventina di giorni i carabinieri arrestarono un ragazzo che aveva avuto un incidente ed era senza patente. Guidava l’auto del padre, un professionista conosciuto. Interrogato dal capitano, poco dopo la richiesta dei dati anagrafici, confessò che giorni prima aveva scommesso che una macchia d’olio in via della Cava avrebbe potuto ammazzare qualcuno. Lui e altri tre amici gettarono una latta d’olio e videro un’auto sfracellarsi.
« Ho vinto io, no? Quella è una via pericolosa», concluse il giovane rivolto al capitano.