di Giuliano Santelli
Ci siamo spostati da Olsztyn a Lidzbark Warminscki dove abbiamo incontrato, in un albergo adibito a centro di accoglienza, i profughi ucraini. Solo donne e bambini, i loro uomini, i loro anziani sono tutti rimasti laggiù. Mikhalyna, Alina, Natalya, Olena, Olga, sono di Mariupol, Kiev, Chercakasi, Mirolaiv, tutte città dove la guerra è passata. Donne giovani, occhi dai quali cogli la sofferenza di chi ha abbandonato i propri affetti più cari. I loro uomini che combattono, i loro vecchi che cercano di sopravvivere come possono.
Olga è la prima che si lascia andare, ci racconta delle poche cose raccolte in uno zaino, di uno straziante saluto con il suo uomo, dei suoi due bambini presi di corsa per mano per salire su un treno che li porta via da quel disastro. Mikhalyna è fuggita da Mariupol con i suoi tre figli, non ha notizie del suo compagno da settimane, spera in un messaggio, una telefonata. Spera, ma sa che le comunicazioni sono interrotte da settimane, ma dice che sente che lui è vivo.
Alina, tuta da ginnastica celeste che fa risaltare i sui suoi capelli biondi, infradito ai piedi, prova a raccontare. Non ce la fa a ricordare quei momenti, abbassa la testa come a nascondere il dolore che sente. Natalya, quella più determinata, ci dice della sua fuga da Cherckasi, scappata con i suoi tre figli, arrivata qui a Warmiscki con i soli panni indosso, ha trovato qui altre donne, polacche, che hanno portato tutto quello che gli serviva, senza domandare nulla. Una solidarietà che non aveva bisogno di parole, dice che l’abbraccio di una anziana del posto l’ha fatta sentire viva. Sì viva, perché si può essere morti nel cuore, vuoti nella testa, ero come un automa, non guardavo più i miei figli come una madre.
Ora stanno qui in questo albergo immerso nel verde, in casette che prima del loro arrivo erano luoghi di villeggiatura, fuori è un vociare di bambini, bambini e bambine come i nostri presi dal gioco del rincorrersi, del saltare, con le altalene colorate sulle quali sembrano spiccare il volo lontano da quel disastro da dove arrivano. Il sindaco ci racconta dalla straordinaria risposta della sua comunità, questa area della Varmia Masuria parla Ucraino, c’è qui dal 1948 una forte comunità ucraina, risalente alla fine della Seconda Guerra Mondiale. L’integrazione è stata facilitata anche per questo. Anche i russi di Kaliningrand per decenni hanno convissuto con queste comunità di confine, poi qualcosa gradualmente si è rotto.
Salutiamo, io, Gian Paolo, Nando e Spartaco, l’operatore video a noi aggregato, attraversiamo questi campi bellissimi, boschi di altri tempi, questi piccoli villaggi dalle tipiche abitazioni, notiamo dei grandi nidi, su pali, su tralicci, sui camini delle case, ci fermiamo e guardiamo estasiati come bambini dei grandi uccelli, sono cicogne, simbolo di felicità e pace. Sì, cicogne a 15 chilometri dal confine russo di Kalinigrad. 15 chilometri, la distanza di un niente per qualsiasi mortaio o cannone. Le cicogne covano, qui si riproducono, generano vita, alcune volano, sembrano dei ricognitori, pare vogliano dire a Mikhalyna ad Alina, Natalya, Olena, Olga, tranquille tutto bene, noi voliamo anche sopra il confine per dire basta a questa sporca e stupida tragedia.