ORVIETO – “L’esperienza della pandemia da COVID-19 nelle donne umbre: Un’indagine qualitativa”. Questo il titolo dell’indagine promossa dai professionisti del Cersag e dell’Azienda Usl Umbria 2 dottoresse Elisa Marceddu, Giada Fioretti, Martina Gradassi, dottor Nicola Salvadori e dottor Marco Cristofori, responsabile del servizio Sorveglianza e Promozione della Salute Usl Umbria 2 nonché direttore del Centro Regionale per la Salute Globale. Lo studio, che si pone l’obiettivo di descrivere come il fenomeno della pandemia si sia dispiegato nell’esperienza concreta delle donne umbre, propone anche un focus sulle donne provenienti da altri Paesi.
La finalità è di indentificare i temi centrali da attenzionare per promuovere un’equa salute di genere. Le conclusioni dell’indagine promossa dai professionisti del Cersag e dell’Azienda Usl Umbria 2 sono in linea con le evidenze più recenti, che mostrano come la pandemia ampli uno squilibrio preesistente importante nelle condizioni di partenza tra uomini e donne e comporti una ancora maggiore difficoltà a colmare le distanze.
È prioritario l’investimento, già da bambini, sulla promozione di processi di socializzazione di maschi e femmine – scrivono gli esperti – che consentano la messa in discussione dei tanti stereotipi di genere ancora diffusi anche nella popolazione umbra e che talvolta si ripresentano nelle stesse politiche che dovrebbero correggere il gap.
Le differenze di genere dopo la pandemia – è riportato nell’indagine – si sono accentuate soprattutto per le donne con un impiego lavorativo o che costituiscono una famiglia monogenitoriale, situazioni in cui incide la sproporzione di carico delle attività domestiche, incluse la cura dei bambini e degli anziani. Gli effetti del lockdown sulla cura della prole, il lavoro domestico e quello negli altri ambienti di lavoro sono influenzati dal genere, ma anche dall’avere o meno figli a carico, dal livello di minaccia percepita della pandemia e dalla soddisfazione per l’ambiente lavorativo. In particolare, la presenza di figli a carico e il loro accudimento ha impattato in modo sensibilmente sproporzionato su uomini e donne. Sotto la minaccia del nuovo coronavirus, le donne, pertanto, hanno anche subìto un impatto maggiore a livello finanziario, economico e sociale.
Lo studio conferma che le donne immigrate, anche nel contesto umbro, presentano un profilo di fragilità maggiore e sono più penalizzate nel mondo del lavoro. Per questo, per le donne straniere si parla di un caso di doppio svantaggio, poiché alle difficoltà connesse con le disuguaglianze di genere si sommano quelle del processo migratorio, con possibili effetti dal punto di vista socioeconomico e, quindi, di salute. Oltre a ciò, le condizioni di difficoltà aumentano nel momento in cui le donne straniere sono anche madri. L’indagine ha coinvolto un campione di 39 donne di età compresa tra 16 e 84 anni residenti nella Regione Umbria, di diversa provenienza geografica. L’articolo pubblicato nella rivista “Sistema Salute. La rivista italiana di educazione sanitaria e promozione della salute”, precede la redazione del libro “Essere donna in Pandemia” che il Laboratorio di Equità Regionale del Cersag presenterà a breve.