di Gabriele Marcheggiani
Non volano colombe sui cieli d’Europa mentre le sirene antiaeree suonano sinistre sopra i palazzi di Kiev. Nessuna voce messaggera di pace sembra in grado di alzarsi in volo e prendere quota, annichilita dagli echi delle esplosioni, dallo sferragliare dei cingoli dei carri armati e dalla rassegnazione, o forse sarebbe più corretto scrivere esaltazione, di chi, anche da questo lembo di continente, preferisce gettare benzina sul fuoco che divampa anziché una coperta.
“In questa guerra nessuno ha tutte le ragioni e nessuno ha tutti i torti”, ha scritto Toni Capuozzo, giornalista in prima linea che qualcosina ha visto in vita sua, tra bombe, guerre, dittatori, rivendicazioni etniche, stragi di civili e tutti quegli annessi e connessi che ogni conflitto reca con sé. Non abbiamo fatto in tempo a uscire da una pandemia che ha segnato e segnerà un’epoca, che siamo entrati armi e bagagli – è proprio il caso di dirlo – nel peggior incubo che la storia recente dell’umanità ricordi, forse anche peggiore della crisi dei missili a Cuba nel 1962.
Avevamo completamente rimosso dal nostro immaginario l’eventualità che l’umanità potesse incorrere anche solo lontanamente nella apocalittica prospettiva di un terzo conflitto mondiale che, stante le decine di migliaia di testate nucleari presenti di qua e di là, condurrebbe a un epilogo simile a quello dell’asteroide che ha estinto i dinosauri. Di fronte a uno scenario senza precedenti in Europa e nel mondo, i falchi la fanno da padrone nei cieli, accompagnando il rombo assordante dei caccia-bombardieri.
Solo ieri un analista di cose militari invocava su La Stampa una corsa all’immediato riarmo da parte dell’Italia e dei partner europei, mentre al contempo, per la prima volta dal 1945, la Germania annunciava uno stanziamento di cento miliardi di euro per potenziare il proprio arsenale. Fedeli al motto latino di Vegezio, tutti sembrano volere la pace preparandosi alla guerra, L’unica strada percorribile nelle cancellerie d’Europa, sembra quella di una corsa a riarmarsi e ad armare, nessuno che osi fermare questa escalation schizofrenica che potrebbe sfuggire al controllo da un momento all’altro. “Si vis pacem para bellum” è il nuovo mantra e nessuno che si stracci le vesti di fronte a tanta insensatezza. Un uomo pericoloso messo con le spalle al muro, circondato e senza via di fuga, è un uomo che non ha più nulla da perdere e trascinerebbe senza esitazioni nella sua rovina, ben più che Sansone con tutti i Filistei. La stampa e la TV incalzano e a volte fomentano questo clima surreale dando per scontata e irreversibile la via di una nuova contrapposizione globale basata sull’equilibrio degli arsenali nucleari, sempre ammesso che l’uomo con le spalle al muro non anticipi la sua mossa folle.
A volte mi chiedo se nelle cancellerie abbiano mai visto quei film d’azione dove al cattivo di turno che prende in ostaggio qualcuno, viene sempre lasciato aperto un canale di dialogo, magari con la promessa di un elicottero pronto a portarlo via e una valigetta con un milione di dollari. Questo non significa che a Putin debba essere garantito sia l’elicottero per la fuga che il milione di dollari, certamente un canale di dialogo costante senza dargli l’impressione di essere spacciato, questo sì. Sanzioni economiche e finanziarie senza precedenti, la fornitura di armi all’Ucraina e la corsa al riarmo, sono quel muro invalicabile posto alle spalle del leader russo. Prima che sia troppo tardi, è ora che chi ha voce in capitolo ribalti il paradigma della violenza a tutti i costi e senza alternative e vada oltre la dura realpolitik che risponde al torto con un torto e mezzo.
Di fronte ad uno scenario tremendo, deve prevalere un nuovo imperativo categorico che fermi quella che appare l’ineluttabile corsa verso la catastrofe. Finirla con la pretesa di un allargamento a est degli interessi occidentali, così come la garanzia di un’Ucraina neutrale, potrebbero essere le vie di uscita onorevoli da quel vicolo cieco in cui Putin sembra essersi cacciato. E non lo dico io, lo dice anche Ian Bremmer, politologo molto ascoltato a Washington.
E mentre le notizie drammatiche si susseguono di ora in ora e il mondo sembra affannarsi in una nuova corsa agli armamenti, ripenso alle parole del mio maestro, padre Ernesto Balducci, uomo di pace, al suo messaggio profetico scritto nel pieno della Guerra Fredda: “gli uomini del futuro”, diceva, “o saranno uomini di pace o non saranno”. Nell’ora tragica che vede le colombe incapaci di librarsi in volo sui cieli d’Europa, qualcuno dovrebbe avere il coraggio di andare controcorrente ribaltando ogni pretesa di ragione a tutti i costi e di sopraffazione e dire, come sosteneva Balducci, che “se vuoi la pace devi preparare la pace”.