Con la proposta “scuole aperte d’estate” ennesimo caso di fumo negli occhi per docenti, studenti e famiglie del comprensorio orvietano. Su uno dei portali più rappresentativi del mondo della scuola italiana, professionedocente, il 96% dei docenti e circa il 90% degli studenti intervistati si sono espressi assolutamente contrari al piano”scuole aperte in estate”. Con grande clamore sono state annunciate le cifre per tale progetto: 150 milioni sono distribuiti a pioggia, a ogni scuola; 320 milioni, il piatto forte del progetto, potranno essere ottenuti dalle scuole, privilegiando quelle delle regioni “in ritardo di sviluppo” che sono Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, alle quali andrà il 70% del totale, il 10% a quelle “in transizione”: Abruzzo, Molise e Sardegna e il rimanente 20% a tutte le altre, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Toscana, Marche, Piemonte, Umbria e Veneto, previa presentazione di progetti dettagliati e articolati entro il 21 maggio.
Infine ci sono 40 milioni, anche questi a pioggia, per iniziative progettuali volte a prevenire la dispersione scolastica e a ridurre la frattura fra le zone più avanzate del Paese e le zone più fragili, le periferie, le aree montane. I 150 milioni vanno a tutte le scuole statali, comprese le scuole del comprensorio orvietano e serviranno per potenziare l’offerta formativa extracurricolare, il miglioramento delle competenze di base, il consolidamento delle discipline, la promozione di attività per il recupero della socialità, delle della vita di gruppo degli studenti.
Insomma, tanti giri di parole per corsi di recupero più o meno simili a quelli da sempre organizzati, da tenere a giugno e a settembre e che dovranno tenere conto anche degli esami di primo ciclo e di quelli di maturità per verificare la disponibilità dei docenti, tenuto conto che tutte le attività previste dal piano per l’estate sono su base volontaria, sia per i docenti che per le famiglie.
L’abbaglio principale e la maggiore presa in giro di questo piano estate, sta nei 320 milioni di fondi Pon, fondi europei. Si tratta di risorse già stanziate in un piano settennale partito nel 2014. In questa distribuzione rientrano anche le scuole paritarie, oltre 12.500 istituti che si sommano alle circa 41.000 scuole pubbliche. Dovrà essere vagliata la fattibilità dal ministero e dall’Indire di tutti i progetti che dovranno essere presentati entro la data perentoria del 21 maggio prossimo. A seguire le scuole dovranno fare bandi interni per verificare la disponibilità di docenti e personale Ata. Se come si prevede i dirigenti scolastici non riusciranno a reperire risorse interne, dovranno fare indire un ulteriore bando per reperire risorse esterne alle scuole.
Ovviamente anche queste risorse saranno finalizzate a promuovere il potenziamento delle competenze, comprese quelle digitali, nonché la socializzazione e lo stare insieme e sarà prestata particolare attenzione ai progetti d’inclusione per studenti con fragilità. Ai progetti dovranno corrispondere moduli classe che dovranno comprendere una media di circa venti alunni. Ogni istituto scolastico potrà attivare in media tre moduli, ciascun modulo per una durata di complessive trenta ore. Mediamente, come avvenuto negli ultimi sette anni, è stato calcolato che per un istituto comprensivo di 1200 studenti ci potra’essere spazio per massimo tre progetti Pon, quindi 60 studenti circa. Ed è stato calcolato che ai docenti che aderiranno la somna pagata per la partecipazione a un PON per quest’anno si aggirera’intorno ai 200/250 euro netti.
Lavorare in estate, dopo un anno cosi duro e stancante causa convivenza con il Covid, per circa 30/35 euro netti al giorno è visto dai docenti come una mortificazione e una declassificazione del proprio ruolo educativo. Sorvolando sul mortificante aspetto per un docente che per i dieci giorni di attuazione del progetto Pon il suo ruolo si trasforma in un classico e avvilente ruolo di babysitter. Ecco spiegato perché quasi tutti i docenti sono contrari alla attuazione di questi progetti, ritenendo che sarebbe stato veramente più utile per la scuola dirottare questi soldi a rinforzare gli edifici scolastici, dotandoli di tecnologie adeguate e incrementando il numero degli organici per fronteggiare la ripresa dell’anno scolastico a settembre in sicurezza.
Considerata la volontarietà dell’adesione i dirigenti scolastici delle scuole superiori prevedono una scarsa risposta, vicina allo zero dei docenti, ragazzi e famiglie. Dove invece l’adesione potrebbe essere maggiore, scuola primaria e scuola media, ci sarà l’oggettiva impossibilità di dare risposte adeguate alle richieste, visto che i progetti con fondi Pon potranno essere rivolti a una platea limitatissima di studenti, circa 40 ogni mille. Tra l’altro, ulteriore criticità, la procedura legata ai fondi europei prevede verifiche e rendicontazioni al millimetro, lavoro che ricade quasi per intero sulle spalle delle segreterie didattiche. Altro aspetto da mettere in conto è che le scuole, prima che i soldi arrivino davvero, dovranno anticiparli stornandoli da altre voci di bilancio sia per i Pon sia per i soldi del decreto Sostegni.
Insomma tanto fumo e niente arrosto in questo progetto scuole aperte d’estate. Fumo negli occhi per i docenti e le famiglie, fumo per nascondere la unica vera verità: che a settembre, all’avvio del nuovo anno scolastico, nulla sarà cambiato rispetto a quest’anno.
Continuerà la convivenza con il Covid con armi spuntate. Con la solita desolante realtà: classi pollaio in aule ristrette e scarsamente ventilate, distanza tra alunni che ancora non potra’essere rispettata, trasporti non regolamentati e adeguati alla criticità Covid. Sarà una partenza ad handicap anche per il discorso organici. Dai conti fatti dal Ministero della Pubblica Istruzione a settembre le scuole partiranno con un buco nell organico di 250.000 docenti e di 60.000 unità Ata. Insomma l’amara realtà è che più che scuole aperte d’estate rischiamo concretamente di ritrovarci con le scuole chiuse in autunno.