di Mirabilia Orvieto
Come si dice, tutti i nodi vengono al pettine. Infatti, nel secondo racconto della resurrezione, Cristo appare ma la fede dei discepoli scompare. La sovrabbondanza di segni e di parole con cui si erano nutriti non è bastata per impedire loro di trovarsi privi di energia e pieni di dubbi.
Gli undici non avevano più la forza di camminare, in balia della tempesta e di una notte esistenziale che sembrava non dover mai finire, esattamente com’era accaduto sul lago di Tiberiade quando rischiarono di affogare: stavano per morire allora e stanno morendo adesso. Morto Gesù, era come se Dio non li avesse mai saziati e invece erano loro che non avevano ancora digerito quel nutrimento spirituale che doveva dargli libertà e fiducia. Per i discepoli era giunta l’ora di misurare chi fossero veramente, cosa avrebbero potuto fare e cosa sarebbe stato possibile sperare: “Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: Pace a voi!. Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma”.
Quando agli apostoli sembrava che non ci fosse alcuna via d’uscita è proprio lì che Cristo interviene e non con la sua parola e con il suo pane, come aveva fatto con i discepoli di Emmaus nel precedente racconto, ma dicendo ‘io ci sono’, sopra le vostre paure, le vostre angosce, i vostri dubbi… io sono per voi anche se non sono qui per sostituirmi a voi. Chiusi ne cenacolo essi stanno implorando la salvezza, qualcosa che avesse potuto donargli il senso profondo della vita, e quando con Cristo risorto tutto ciò gli si presenta davanti, essi sono capaci solo di vedere un fantasma: scambiano per morte ciò che in realtà può farli vivere!
È esattamente quello che accade quando l’uomo si trova nell’incapacità di capire dove andare e, nello stesso tempo, ha di fronte quella persona o situazione o possibilità capace di riaprire davanti a lui una via per farlo rivivere, ebbene si finisce per non riconoscerla, anzi si immagina che quello che sta capitando sia la sua morte quando invece è la sua occasione.
Ma ciò che fa vivere spesso è faticoso, va decifrato, imparato, lavorato, costruito, accettato, così come ha bisogno di essere sbagliato, ha bisogno di quelle cadute che nessuno vorrebbe mai fare nella vita perché ci si sente tristemente e terribilmente perfetti, pretendendo dagli altri quella perfezione che non è data a nessuno. È proprio l’imperfezione, la caduta, la perdita di senso che ci intristisce e ci fa morire mentre sta lì per aiutarci a capire chi siamo e per farci crescere e maturare realmente verso la realtà vivente: “Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: Avete qui qualche cosa da mangiare? Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro” (Luca 24, 39-42). Sta proprio qui il punto cruciale della fede. Quando gli uomini vedono apparire Dio in una storia che li ha resi impauriti, spaventati, al fondo di una disperazione che gli fa dire “noi speravamo ma è finito tutto”, essi, invece di intravedere uno spiraglio di luce, vedono apparire la loro morte.
Per aiutarli a vedere e a capire, Gesù non porta i discepoli a pregare ma si ferma a mangiare con loro del pesce arrostito così da condividere la loro stessa realtà. Si ferma in mezzo a loro per dire che egli è lì a prenderli per mano e a rialzarli di nuovo nella misura in cui sapranno accettare loro stessi.
È questa la ricchezza che l’uomo dovrebbe possedere. La nostra esistenza è infatti su una barca e sul lago della vita, un’onda, un vento, una tempesta capiteranno e se non saremo pronti a capire il senso di ciò che accadrà, il senso di quella notte, di quella tempesta, allora fuggiremo via spaventati come un ladro senza accorgerci che ci sta venendo incontro una Presenza e che non è affatto un fantasma.