di Gabriele Marcheggiani
“Ho cominciato ad armeggiare in cucina esattamente cinquant’anni fa, pare strano a dirsi visto che di anni ne ho cinquantacinque, ma ricordo esattamente il giorno in cui provai a fare la crema insieme a mia sorella: avevo cinque anni, appunto”. Lorenzo Polegri è nato chef, i suoi primi ricordi sono legati al desiderio di mettersi alla prova in cucina, sfruttando il fatto che il padre coltivasse la terra e quindi gli ingredienti genuini non mancavano mai. Di strada ne ha fatta parecchia, si è conquistato il suo spazio con pazienza e metodo, restando sempre fedele a quel sogno di bambino che provava un piacere indicibile nel mettersi dietro i fornelli.
Se è riuscito a conquistarsi uno spazio di prim’ordine negli Stati Uniti, arrivando a cucinare alla Casa Bianca per Obama e Trump non può essere un caso, ma il risultato certo eccezionale, di una vocazione alimentata costantemente come il fuoco sacro del tempio di Vesta.
“Una bella esperienza cucinare per i presidenti americani ma l’ho fatto anche per attori, cantanti, musicisti”, si schermisce come fosse la cosa più naturale del mondo cucinare nel palazzo del potere per antonomasia per gli uomini più potenti del mondo.
In America Polegri è un personaggio da copertina, soprattutto sulla costa orientale, New York in particolare. Il libro “The Etruscan Chef” – ricordi, storie e ingredienti della sua cucina, scritto per il pubblico a stelle e strisce – ha la prefazione di Ian Anderson, leader dei Jethro Tull, nientemeno. Come si arriva in America partendo dai Poggi? “Io cucino da sempre e la mia scuola è stata la campagna di Baschi, la stessa che mio padre coltivava. Qui ho imparato a riconoscere ed apprezzare innanzitutto gli odori, le consistenze delle materie prime della nostra cucina: come fai a parlare di farina e a comprenderne il valore se non ha mai messo le mani e annusato il grano appena mietuto? Parte tutto da qui, i fornelli sono solo l’ultimo stadio del percorso”, dice chef Lorenzo. “Io ho osservato più che altro e ripetuto quel che vedevo, quei riti di una cucina autentica e genuina che oggi cerco di replicare; la mia maestra è stata l’Aurora, la nostra tata, era lei che all’inizio cercavo di imitare perché essendo tanti in famiglia, dovevi arrangiarti. La prima volta vedevi come si preparavano, che so, le castagnole, dalla volta successiva se ti andavano dovevi preparartele da solo: guardare, memorizzare e poi mettere in pratica, è nata così la mia passione”. Persona cortese e amabile, mai sopra le righe, disponibile e alla mano, Polegri è l’antitesi degli chef di grido di cui sono pieni i rotocalchi e i programmi TV.
Riconosce a Gianfranco Vissani, la primogenitura di un nuovo modo di intendere la cucina del territorio, che prima di lui sembrava soffrire del complesso di inferiorità, portandola alla ribalta nazionale: “La cucina è cultura prima ancora che piacere”. Di questo lui ne era convinto già trent’anni fa. Manhattan non è dall’altra parte del fiume, però. “Ricordo chiaramente un pomeriggio d’estate mentre ero sul trattore con mio padre: in un secondo ho capito che non potevo continuare a coltivare la terra, cioè, avrei potuto perché comunque non mi dispiaceva, ma prima avrei dovuto fare altro”. Quel pomeriggio capì che Baschi gli andava stretta, c’era un mondo da scoprire oltre le colline che chiudono ovunque l’orizzonte del paese. La prima volta negli Stati Uniti fu nel 1984, un viaggio nato un po’ per caso che gli aprì un mondo: porca miseria che figata l’America, ci sarebbe ritornato, eccome se ci sarebbe ritornato!
E ci è tornato chissà quante volte laggiù, assecondando la sua curiosità insaziabile, realizzando quel suo personalissimo sogno americano che l’ha portato a girare in lungo e in largo gli States, intessendo rapporti e predicando il suo verbo made in Baschi. Chissà quante volte avrà pensato all’Aurora, a quei segreti carpiti con maniacale attenzione che adesso erano divenuti gli ingredienti del suo insegnamento; come un apostolo del buon mangiare Lorenzo entra in contatto con scuole e università americane, ai suoi studenti, molti dei quali faranno stage a Orvieto nel suo mitico Zeppelin, insegna che nella sua cucina sono i mezzi a giustificare il fine e mai il contrario: parti dalle cose semplici, sempre, dalla terra e dai suoi frutti, sporcati le mani di farina, impasta, fai lievitare, sii tu stesso l’artigiano dei tuoi piatti.
Anche nei giorni del Covid, quando Lorenzo contrasse il virus, il suo pensiero fisso era di tornare a fare quel che più amava, iniziare i suoi studenti americani ai segreti della sua arte. “Purtroppo da quel momento hanno chiuso le frontiere e sto qui, in attesa che tutto questo passi. Sono fiducioso e ottimista, seppure penso che il mondo che verrà dopo non sarà più quello di prima. Meno male anzi, spero proprio che non lo sia, non era mica un gran bel posto quello che avevamo fino a un anno fa. Qualcuno mi ha criticato per questo mio atteggiamento, mi hanno quasi colpevolizzato perché oramai sono guarito, “È facile parlare per te”, mi hanno detto. Eppure sono convinto che senza un atteggiamento realistico non si riuscirà a ripartire: ok, è un casino lì fuori ma dal Covid si guarisce, se ne esce, magari a tocchi ma si supera l’ostacolo.
Senza questo atteggiamento non andremo da nessuna parte”, si accalora Polegri. Si starebbe le ore ad ascoltare le sue storie, i suoi aneddoti e qualche contrattempo (“Alla Casa Bianca stavo per entrare nella Situation Room, sai quella che vedi nei film americani, dove il presidente si riunisce insieme al suo staff e ai generali per decidere quando bombardare? L’addetto alla sicurezza mi ha preso per il bavero della giacca, un cristone di due metri…No chef, qui no!”). Dice che il primo volo che ripartirà per gli Stati Uniti lo vedrà a bordo, che non vede l’ora che accada. E se gli chiedi se ha mai pensato di andare a vivere laggiù ti risponde con un no deciso: “Solo qui a Baschi sono veramente io, sto bene, mi sento a casa mia. Adesso seguo mio figlio Tommaso che ha deciso di fare il coltivatore ma appena si potrà tornare a viaggiare…”