Neppure la pandemia ferma le speculazioni: anche nel pieno di una crisi sanitaria senza precedenti, che ci impone sacrifici per il bene comune, la monocoltura del nocciolo continua indisturbata a prendersi ogni pezzo di terra disponibile da Orvieto a Bolsena, minacciando la salute pubblica e il futuro.
Per i cittadini e i contadini dell’orvietano che da anni ormai si occupano di contrastare l’avanzata della monocoltura del nocciolo, giovedì 17 dicembre c’è stata l’occasione di riaffacciarsi pubblicamente. Abbiamo scelto il Comune di Orvieto, la città più popolata del comprensorio, la cui acqua sarà stavolta messa in grave pericolo da queste nuove coltivazioni intensive.
Non è stata solo un’azione di protesta, ma di informazione per la cittadinanza sui pericoli che queste speculazioni portano sulle nostre terre e nelle nostre vite. In questa occasione vorremmo inoltre chiedere all’amministrazione locale come pensa di tutelare la salute dei propri cittadini e delle generazioni future rispetto ai pesticidi.
In Umbria il piano “Nocciola Italia”, siglato a giugno dello scorso anno da Ferrero Hazelnut Company, prevede il raggiungimento di una superficie di settecento ettari di nuove piantagioni entro il 2025, ma essendo le coltivazioni a cavallo tra Umbria e Lazio, si potrebbero raggiungere facilmente i mille ettari. Questo processo speculativo dovrebbe essere arrestato, perché la popolazione locale non ha ricevuto le dovute informazioni sulle conseguenze di questi “investimenti”. I nostri piccoli contadini, che andrebbero difesi e tutelati in quanto veri custodi della terra, sono invece pesantemente penalizzati dall’inevitabile aumento dei prezzi delle terre, oltre a ritrovarsi, magari, un vicino di campo che spruzza continuamente diserbanti e pesticidi sulle sue colture.
Questi progetti non solo mettono a disposizione della popolazione cibo con alti livelli di tossicità, ma rischiano di “contagiare” anche le virtuose coltivazioni limitrofe, che invece praticano un’agricoltura libera da sostanze tossiche che mette in commercio cibo sano. La salute, la fertilità della terra, la qualità delle acque, vengono prima della ricchezza di pochi. Una volta di più affermiamo che questo modello che condanna la gente comune a vantaggio di pochi non è il futuro salubre e sostenibile che vogliamo, né sull’Alfina né altrove, e per questo continueranno le mobilitazioni e l’informazione in ogni territorio. La terra deve essere gestita democraticamente da chi la vive e non da affaristi di ogni sorta.
Questa giornata arriva in un periodo drammatico per il nostro paese, che ha reso sempre più difficile incontrarsi e dimostrare dissenso. Siamo dunque stati di nuovo in piazza rispettando le distanze di sicurezza, senza assembrarci, per mostrare come alcune persone hanno a cuore la vita e la salute, mentre altri gruppi hanno propositi diametralmente opposti.
Comunità Rurale Diffusa
Comitato Quattro Strade