Per i cittadini e i contadini dell’orvietano che da anni ormai si occupano di contrastare l’avanzata cieca della monocoltura del nocciolo, oggi c’è stata l’occasione di riaffacciarsi pubblicamente. Una passeggiata nell’area con il maggior impatto di questi impianti, per protestare contro una scelta poco lungimirante che avrà serie conseguenze: sulla salute della popolazione, sulla fertilità della terra, sulla qualità delle acque e sulla vita dei contadini che praticano un’agricoltura libera da pesticidi e diserbanti, che vivono la minaccia della contaminazione dei loro prodotti.
In Umbria il piano “Nocciola Italia”, siglato a giugno dello scorso anno da Ferrero Hazelnut Company, prevede il raggiungimento entro il 2025 di una superficie di settecento ettari di nuove piantagioni.
Ma, dal momento che la zona con il maggior numero di nuovi impianti coricoli si trova a cavallo tra Umbria e Lazio, si potrebbero facilmente raggiungere i mille ettari.
Questo processo “speculativo” dovrebbe essere arrestato perché la popolazione locale non ha ricevuto adeguate informazioni sulle conseguenze di questi “investimenti”.
L’incursione pacifica di oggi sull’altopiano dell’Alfina ha attraversato parte dei duecento ettari già messi a dimora.
Questa giornata viene al termine di un fine settimana di discussioni e riflessioni insieme ad altri gruppi di Toscana, Lazio e Marche, giunti sull’altopiano dell’Alfina, non solo per dimostrare solidarietà a questo territorio ma anche per definire strategie comuni per fermare questa vera e propria piaga che sta colpendo le quattro regioni. Infatti il piano “Nocciola Italia” investirà tutto il Paese con 20.000 ettari di nuove piantagioni di noccioleti (+30% circa dell’attuale superficie), entro il 2025, di cui 10.000 nel Lazio, in cui già si concentrava il 5% della produzione globale, 5.000 ettari in Toscana e 2.000 nelle Marche. Il piano di incentivi lanciato dalla multinazionale Ferrero, sta convincendo, molti “investitori” del settore agricolo (non necessariamente agricoltori) a comprare terre e convertirle in impianti di coricoltura.
Un settore chiave come quello della produzione e distribuzione del cibo è caratterizzato dal monopolio delle grandi catene industriali e dal sistema della grande distribuzione organizzata: l’emergenza pandemica ha dimostrato di nuovo che questo sistema è l’unico a cui lo Stato vuole delegare l’alimentazione delle persone. Pensiamo che questo sistema debba essere progressivamente sostituito dalle reti alimentari contadine locali, reti che attualmente sono vitali ma, troppo spesso, residuali. Pensiamo che questa graduale sostituzione sia vantaggiosa e urgente dal punto di vista agricolo, economico, sociale ed ecologico.
Una volta di più affermiamo che questo modello che condanna la gente comune a vantaggio di pochi non è il futuro salubre e sostenibile che vogliamo, né sull’Alfina né in nessun altro territorio e per questo continueranno le mobilitazioni e l’informazione. La terra è bene comune che va gestito e preservato da chi la vive e non usurpato da affaristi di ogni sorta.
Comunità rurale diffusa
Comitato quattro strade