Il Concilio di Trento
di Mirabilia-Orvieto
“Il mondo stesso è pieno di dettagli – afferma Enrico Castelli – possiamo ignorarli, possiamo trascurarli, possiamo persino cancellarli: ma non possiamo far sì che non ci siano, ossia che in ogni cosa non sia possibile distinguerli, e in questa distinzione aprirsi al loro ‘andare oltre’…”. Nel 1597, dopo circa trent’anni dal Concilio di Trento, ad Orvieto lo scultore Ippolito Scalza ricevette l’incarico di incidere su due lastre di pietra rossa il contenuto di un’antica pergamena, scritta nel 1362 da ser Cecco di Pietro, che raccontava dettagliatamente la cronaca del miracolo di Bolsena. Le due epigrafi vennero disposte in una nicchia della Cappella del Corporale dove si trova la splendida immagine della Madonna dei Raccomandati.
Cappella del Corporale, Ippolito Scalza, 1597
Era ormai lontano il tempo delle eresie e delle lotte di religione contro musulmani e ebrei, e di quando “i racconti di ostie miracolose che sanguinavano e si trasformavano nel corpo di Cristo” eccitavano l’immaginazione popolare. I miracoli eucaristici impressi sulle pareti della Cappella non avevano lo scopo né di intrattenere né di raccontare storie sull’ostia, ma di convincere che lì, sull’altare, si sarebbe compiuto il mistero dei misteri, cioè la trasfigurazione del pane e del vino nel corpo e nel sangue del Signore.
Nessuno, infatti, doveva dimenticare che il prodigio di Bolsena aveva dimostrato tutta la veridicità del miracolo della transustanziazione e, quindi, il potere del “piccolo cerchio bianco dell’ostia” (Catherine D. Harding) attraverso cui si sarebbe compiuta, ogni volta, l’antica promessa della salvezza eterna. Quando Ippolito Scalza trascrisse la storia del miracolo, la Chiesa del Rinascimento si trovava al centro di accese e interminabili dispute sull’eucarestia tra tomisti e agostiniani, ma anche degli attacchi da parte dei nuovi nemici della fede. Risuonavano ancora le dure parole di Lutero verso la cattolicità, accusata di essersi rinchiusa nella propria ignoranza e di aver ridotto l’eucarestia a un ‘rifugio‘ devoto.
Lucas Cranach: Lutero e il sermone sull’eucarestia
In quel tempo la comunità cristiana doveva fronteggiare, da una parte, i dubbi e la fragilità della fede che mai l’avevano abbandonata, e dall’altra, la tempesta della Riforma Protestante sempre pronta a scagliarsi contro le gerarchie ecclesiastiche e una certa religiosità popolare, colpevole di essersi allontanata dall’esperienza dei primi cristiani: “Allora un cristiano – dichiarava Lutero nel 1520, anno della sua scomunica – si prendeva cura dell’altro, aveva compassione dell’altro; ora invece tutto è sbiadito e ci sono soltanto tante messe, vi è un largo uso di questo sacramento (!), senza alcuna intelligenza del suo significato, né alcun esercizio in esso… Molte persone non sanno far altro, con questo sacramento, che temere e onorare con le loro orazioncelle e devozioni il Cristo presente nel pane e nel vino senza difendere la verità e promuovere il miglioramento della Chiesa”.
Fu allora scolpita su pietra la cronaca del Miracolo proprio per ritrovare la memoria e lo spirito di quei gloriosi giorni, quando la verità sul mistero dell’eucaristia risuonava in tutta cristianità; a rendere ancora vivi quei fatti era la presenza del Corporale, custodito nel maestoso tabernacolo della Cappella, che dimostrava al mondo intero l’indiscutibile intervento divino nella Santa Messa, una prova così tangibile da convincere più dei sermoni.
Miracolo eucaristico davanti ai Saraceni, Cappella del Corporale (Foto Opera del Duomo di Orvieto)
Al piccolo lenzuolo su cui erano rimaste impresse ‘venticinque macchie’ di sangue, segno del giorno della nascita del Signore; al venerabile reliquiario dove si trovavano effigiate le scene del Miracolo e della Passione di Cristo; agli affreschi di Ugolino di Prete Ilario, si aggiungeva dunque la ‘pergamena di pietra’ a confermare che, durante la celebrazione eucaristica, l’omelia del sacerdote era la vera dottrina, e quel pane e quel vino da lui consacrati erano il vero corpo e il vero sangue di Cristo.
Obbedendo al comando che il Salvatore dette agli apostoli nell’ultima cena, la Chiesa riaffermava tutto il suo primato, ammaestrando sulle verità divine il popolo di Dio e invitando i fedeli ad avere ancora grande devozione e venerazione per il Santo Sacramento. Nella cronaca ispirata al manoscritto di ser Cecco, i fatti sono descritti in modo tale che le emozioni e sentimenti più intimi dei protagonisti dovevano spingere lo spettatore a immedesimarsi con il dramma della fede, rappresentato nelle immagini e celebrato con la Santa Messa, infondendo nell’animo quella forza e quella sapienza necessaria a superare dubbi e paure.
Il Vescovo di Orvieto a Bolsena, Cappella del Corporale (Foto Opera del Duomo di Orvieto)
Il contenuto del testo che segue, suddiviso in titoli dagli autori di questo articolo, è stato tradotto nel 1863 da Giovanni Battista Scotti.
Il dubbio dell’anima
Nel tempo in cui il papa Urbano IV, di celebre memoria, con i suoi fratelli cardinali e con la sua curia risiedeva ad Orvieto, vi fu un sacerdote alemanno di singolare discrezione e d’insigne bontà di costumi. In tutte le cose si mostrava a Dio fedele; solo che nella fede di questo sacramento dubitava assai. Tuttavia, ogni giorno supplicava Iddio nelle sue orazioni che si degnasse di mostrargli un qualche segno che gli avesse rimosso dall’anima ogni dubbio.
Il viaggio della fede
Quando, venuto il tempo, l’onnipotente e misericordioso Iddio, affinché il detto sacerdote desistesse da quell’errore e la fede avesse maggiore fermezza, dispose che quel sacerdote proponesse, per impetrare il perdono dei suoi peccati, di visitare il sepolcro degli apostoli Pietro e Paolo ed altri pii luoghi. Perciò, s’incamminò verso Roma. Arrivato al castello di Bolsena, della diocesi di Orvieto, stabilì di celebrare la messa in questa presente chiesa di Santa Cristina vergine ed in questo stesso luogo, detto volgarmente delle Pedate, dove si vedono mirabilmente, come scolpite, le orme dei piedi della suddetta vergine.
Il miracolo di Bolsena, Cappella del Corporale (Foto Opera del Duomo di Orvieto)
Il miracolo nascosto
Mentre costui celebrava qui la messa e teneva l’ostia nelle mani sopra il calice, si mostra una cosa meravigliosa, da far stupire, per il miracolo, sia gli antichi tempi, che i nuovi. Improvvisamente quell’ostia apparve, in modo visibile, vera carne e aspersa di rosso sangue, eccetto quella sola particella, che era tenuta dalle dita di lui. Di più una benda, che si teneva per purificazione del calice, restò bagnata da quella effusione di sangue.
Alla vista del miracolo, colui che prima dubitava, confermato nella fede, stupì e procurò di nasconderlo con il corporale. Ma quanto più si sforzava di nascondere tanto più ampiamente e perfettamente, per virtù divina, si divulgava il miracolo, e da ciascuna goccia di sangue, che da quella scaturiva, tingendo il sacro corporale, vi lasciò impresse altrettante figure a somiglianza di uomo.
Vedendo ciò quel sacerdote, atterrito, cessò dal celebrare e non osò andare avanti. Anzi, preso da intimo dolore e spinto dal pentimento, collocato prima con la pia dovuta devozione nel sacrario della detta chiesa quel venerabile sacramento, corse in fretta dallo stesso sommo Pontefice e genuflesso innanzi a lui, gli narrò tutto l’accaduto e della propria durezza di cuore e dell’errore chiese perdono e misericordia.
Il Papa invia il Vescovo di Orvieto a Bolsena, Cappella del Corporale (Foto Opera del Duomo di Orvieto)
Il venerabile corpo di Cristo
Udite queste cose, il Papa restò pieno di grandissima ammirazione e lo assolse e gli impose una salutare penitenza. E affinché la lucerna posta sul candelabro risplendesse maggiormente per quelli che sono nella casa del Signore, decretò che il venerabile Corpo di Cristo fosse portato nella chiesa orvietana che era stata insignita col nome della madre sua ed espressamente comandò al vescovo di Orvieto di recarsi alla detta chiesa della beata Cristina e lo portasse in questa città.
Le lacrime di Rio Chiaro
Obbedendo ai suoi comandi, questi si recò al luogo del miracolo e riverentemente prendendo il Corpo di Cristo, accompagnato da chierici e da molti altri, lo portò sin presso la città, al ponte di un certo torrente detto volgarmente Rischiaro, dove gli venne incontro lo stesso romano Pontefice con i suoi cardinali, con i chierici e religiosi e con una numerosa moltitudine di orvietani con immensa devozione e spargimento di lacrime.
Ed il Pontefice avendo preso nelle sue mani, genuflesso a terra, quel venerabile sacramento, lo portò alla chiesa di Orvieto con inni e cantici, con gaudio ed allegrezza ed onorevolmente lo depose nel sacrario della stessa chiesa. L’anno della Natività del nostro Signore Gesù Cristo 1263.
L’incontro a Rio Chiaro, Cappella del Corporale (Foto Opera del Duomo di Orvieto)
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