di Pietro Tamburini
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Quando si sente parlare della nascita e della formazione del lago di Bolsena (fig. 1) quasi tutti pensano subito alla trascorsa presenza di un unico grande vulcano che, dopo essere violentemente esploso, sarebbe stato gradualmente invaso dalle acque, fino a diventare l’alveo del grande specchio lacustre attuale. Del resto era questa l’opinione più accreditata in passato, avendo ricevuto anche il supporto scientifico di affermati vulcanologi fino ai primi decenni del Novecento. Ma poi le Scienze della Terra sono progredite e gli studi geologici hanno gradualmente affinato i loro strumenti di indagine, giungendo a conclusioni del tutto diverse.
Il lago di Bolsena è contenuto nell’alveo di un’enorme cavità prodotta da una lunga e intensa attività vulcanica di tipo prevalentemente esplosivo cronologicamente compresa tra 600.000 e 120.000 anni fa: una cavità chiamata nel gergo dei vulcanologi “caldera”, dovuta al collasso della sottile crosta terrestre che copriva la grande camera magmatica del complesso Volsino (un cosiddetto “supervulcano” simile a quelli, tuttora attivi e pericolosissimi, dei Campi Flegrei e di Yellowstone). Un collasso provocato dal crollo della pressione all’interno della camera magmatica, svuotatasi a causa delle enormi quantità di materiali espulsi all’esterno lungo l’arco di quasi 500.000 anni attraverso le numerose bocche eruttive dell’area (fig. 2).
Una formazione analoga hanno avuto anche altri due laghi vulcanici del Lazio: quello di Vico e quello di Bracciano. Il lago di Vico, in particolare, mostra l’anomalia di essere ospitato in una caldera (relativa al piccolo vulcano di monte Venere) creatasi però in quota (600 m s.l.m.) all’interno del grande vulcano esploso ma ancora perfettamente riconoscibile nell’imponente edificio vulcanico vicano. In conclusione, il lago di Bolsena, quindi, non un cratere, bensì una caldera, cioè una depressione vulcanica, una voragine svuotatasi di terra e gradualmente riempita dalle acque di origine sorgiva e meteorica.