PORANO – E’ in calendario per domenica 9 febbraio alle 16.30 nella Sala Consiliare del Comune di Porano l’iniziativa del gruppo “Alternativa per Porano”: Pietro Bendetti in “Drug Gojko“, la storia nel racconto di Nello Marignoli, militare italiano sul fronte greco – albanese, l’indomani dell’8 settembre 1943 partigiano nella Resistenza Jugoslava, con introduzione a cura del professor Angelo Bitti, storico e ricercatore dell’Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea, dedicata a “Il contributo degli slavi nella Resistenza Umbra”.
“La Legge 92/2004 fin dalla sua genesi parlamentare e successivamente nei singoli articoli – è il commento degli organizzatori – si propone di “(…) conservare e rinnovare la memoria, della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra (…) ma anche “(…) della più complessa vicenda del confine orientale (…). Si tende, infatti, a dimenticare che a Trieste, nella Venezia Giulia e nei territori confinanti, la storia non comincia il 1° Maggio 1945, giorno della Liberazione della città per mano partigiana.
Nel 1920, ad esempio, Mussolini nel suo discorso al teatro di Pola affermava: (…) per realizzare il sogno mediterraneo bisogna che l’Adriatico, che è un nostro golfo, sia in mani nostre; di fronte ad una razza come la slava, inferiore e barbara, io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani (…). Fin dai primi anni ’20 gli squadristi ebbero mano libera e solidi appoggi economici per le loro infami incursioni; nel ’22 iniziò la campagna di italianizzazione vera e propria: divieto di parlare in sloveno, chiusura di scuole “non italianizzate”, devastazioni di sedi associative, modifiche alla toponomastica e anche ai nomi e cognomi delle persone.
Furono la violenza fascista e l’annullamento dell’autonomia culturale e linguistica delle popolazioni slave, ad esasperare inevitabilmente i sentimenti di inimicizia nei confronti dell’Italia. Con l’occupazione nazi-fascista di Dalmazia, Slovenia e Croazia nel 1941 vennero attuati stupri, massacri, bombardamenti e deportazioni di massa, specialmente a danno delle minoranze.
Gli italiani contribuirono attivamente con la creazione dei campi di concentramento e di sterminio o di luoghi d internamento, anche in Umbria: secondo dati accertati, gli sloveni e i croati deportati dalla primavera del 1942 al 8 settembre 1943 furono non meno di 25.000. Tra i più terribili quello sull’isola di Arbe (ex provincia di Fiume, oggi Croazia): su circa 7500 internati i morti furono almeno 1435, tra cui oltre 100 bambini di età inferiore ai 10 anni; il tasso di mortalità superava quello del campo di Buchenwald. Alla fine della guerra la Jugoslavia conterà circa 1 milione di vittime di cui 300.000 direttamente attribuibili alle truppe d’occupazione italiane. Dopo l’8 settembre ’43 e fino al ’45, con le sorti della guerra rovesciate, le popolazioni slave e l’esercito popolare della nascente Jugoslavia intensificarono la lotta contro i simboli della dittatura, gerarchi fascisti e camicie nere, anche con una serie di “infoibamenti”, il cui numero aumenta di anno in anno soltanto nella propaganda della destra e dei neofascisti, salvo però trovare difficilmente riscontri documentabili.
Pensiamo che nel prendere in considerazione oggi la questione delle foibe non si possa non tener conto del contesto che fu: non per negarle o per ridurne l’importanza, ma per contestualizzarle. La storia non si cancella e ogni altro uso della stessa che non abbia riscontri tangibili, nella migliore delle ipotesi appartiene al peggior revisionismo. E’ importante ricordare, magari senza retorica e onestà vorrebbe ricordare tutto!”.
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