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Home Economia

Trasformazioni demografiche dei territori, in quattro anni l’Umbria ha perso 13mila residenti

Redazione by Redazione
2 Febbraio 2020
in Economia, Secondarie, Archivio notizie
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di Meri Ripalvella, ricercatrice Agenzia Umbria Ricerche

Nell’ultimo Rapporto Economico e Sociale (RES) dell’Agenzia Umbria Ricerche abbiamo proposto un Indicatore composito volto a valutare lo Stato di Salute Demografica (d’ora in poi ISSD) dei comuni della regione. La scelta di focalizzare la ricerca a livello subregionale era motivata dalla volontà di comprendere, con maggior precisione, sia le dinamiche demografiche di medio-lungo periodo sia gli effetti della recente crisi economica sulla distribuzione della popolazione.

Che cosa è l’Indicatore composito di Stato di Salute Demografica (ISSD)?

Dal punto di vista metodologico, l’ISSD è un indicatore composito che sintetizza due aspetti: il primo, tiene conto degli episodi di decremento demografico avvenuti nell’arco temporale 1951-2018 e del tasso di decremento della popolazione nell’intero periodo (1951-2018) e negli anni più recenti (2011-2018); il secondo prende a riferimento alcuni indicatori demografici e sociali di struttura (indice di vecchiaia, indice di squilibrio generazionale primario e indice di dipendenza totale) e di movimento della popolazione (eccedenza dei nati sui morti, flussi migratori – interni ed esterni – nel periodo 2011-2018). Senza scendere troppo nel dettaglio, il valore dell’ISSD dei comuni umbri è stato ottenuto come combinazione lineare di diversi indicatori, opportunamente pesati, lasciando agire valutazioni di tipo “prognostico” (l’indice di vecchiaia, ad esempio, è destinato a condizionare le performance demografiche future) e congiunturali.Calcolato il valore dell’ISSD per i 92 comuni della regione, si è, poi, proceduto a una loro classificazione secondo 4 classi di Stato di Salute Demografica (buono, discreto, precario e grave) sulla base della forma assunta dalla distribuzione dell’ISSD.

Quali sono i numeri della decrescita?

Dal 2014 al 2018, l’Umbria perde quasi 13mila residenti (un numero di poco superiore ai residenti del comune di Amelia) e si riduce dell’1,1% anche la componente straniera (-1.077 unità). È questo un dato interessante perché i flussi migratori compensavano il declino demografico (in Umbria il saldo naturale diventa negativo dal 1979, in Italia dal 1994).
La contrazione delle nascite e l’allungamento della vita media (la speranza di vita alla nascita è di 86 anni per le donne e 82 anni per gli uomini, un anno in più della media nazionale) determinano un profilo della struttura per età della popolazione umbra che colloca la regione tra le più “anziane” d’Italia: se nel 2011 vi erano 180 anziani ogni 100 giovani,oggi, a distanza di soli 7 anni, il rapporto è arrivato a 204 over 65 ogni 100 under 14.
Il declino demografico non investe allo stesso modo i comuni umbri: quelli che subiscono una contrazione della popolazione residente sono i comuni di piccole e piccolissime dimensioni (fino a 7.500 abitanti), dove il calo demografico si va ad aggravare negli anni più recenti.

Quale Umbria perde popolazione?

Le dinamiche demografiche negative non si distribuiscono in maniera uniforme su tutto il territorio regionale ma si concentrano, con particolare evidenza, solo in alcune zone, ben caratterizzate da specifici profili storici, economici, sociali e infrastrutturali.
L’ISSD, mutuato da una precedente ricerca dell’Università di Cagliari sulle evoluzioni demografiche della Sardegna, opportunamente modificato per adattarlo alle nostre specificità regionali, restituisce una mappa dello stato di salute demografica di ogni comune e un’articolazione del territorio regionale che evidenzia, plasticamente, quelle che possono essere definite aree della “restanza” e dell’“abbandono”, queste ultime in parte corrispondenti ai perimetri definiti dalla “Strategia Nazionale delle Aree Interne”. Infatti, le “aree del disagio demografico” – che rappresentano il 37% della superficie regionale, dove risiede circa il 14% della popolazione – sono riconducibili a gran parte della Valnerina, area nuovamente ferita dal sisma del 2016, e a molti comuni dell’Orvietano. Oltre a queste due porzioni di territorio regionale rappresentato da comuni contigui, vi sono altri municipi che, pur non adiacenti, condividono la collocazione in zone di confine. L’“area del benessere demografico”, infatti, si colloca prevalentemente nel centro dell’Umbria, estendendosi verso il folignate.

Quali sono i principali risultati dell’algoritmo dell’ISSD?

Anzitutto l’ISSD ci dice che il 55% dei comuni umbri gode di una salute demografica almeno discreta (solo 20 comuni vantano una buona salute demografica), il 28% (26 municipi) si trova in una situazione precaria e ben 15 comuni (il 16%) versa in gravi condizioni.Tra essi, 4 (Poggiodomo, Polino, Sellano e Parrano) presentano condizioni demografiche ancorapiù gravi: basti pensare che, nel 2018, a Poggiodomo si contavano 56 anziani (over 65) e solo 4 giovani (under 14); a Polino 94 contro 15. Per questi 15 municipi il rischio di “estinzione” – in assenza di contromisure atte a invertire la tendenza prefigurata dai parametri demografici oggi condizionanti – è altissimo. Da monitorare con attenzione, anche con l’ausilio di nuove strumentazioni d’indagine multifattoriale, le aree in precarie condizioni di salute demografica, così da scongiurare il raggiungimento di “punti di non ritorno” che rendono estremamente difficile l’attuazione, e il buon esito, di politiche di contrasto o di “resilienza”.
Le aree caratterizzate da una salute demografica grave o precaria, come già detto, tendono a coincidere con le tre aree interne (Sud-Ovest dell’orvietano, Nord-Est e Valnerina) individuate dalla Regione Umbria per la Strategia Nazionale Aree Interne (SNAI): il 71% dei 41 comuni che, secondo l’ISSD versano in condizioni di salute precaria o grave, beneficia degli interventi della SNAI. La non totale coincidenza delle aree in questione è riconducibile al fatto che l’individuazione dei municipi da considerare “Aree Interne” è avvenuta sulla base di elementi che, oltre a considerare la criticità delle condizioni demografiche dei comuni, ha tenuto conto anche della loro lontananza dai centri di erogazione dei servizi essenziali.

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