Una lettura che cattura come un romanzo di Hemingway
“Un prigioniero in fuga. Storia di 5 evasioni” libro scelto e fotografato da Federica Martellini
Ian Reid è un ufficiale britannico non ancora trentenne al momento in cui inizia, l’8 settembre del 1943, la storia narrata in questo libro, di cui è autore e protagonista.
Il libro, pubblicato per la prima volta in Inghilterra nel 1947, ha visto le stampe in Italia solo il mese scorso, in seguito ad una controversa vicenda editoriale e ad una straordinaria storia di ricerca e scoperta che ha visto i figli e i nipoti dei protagonisti dei fatti narrati, accaduti nell’Italia degli anni Quaranta, incontrarsi camminando sulle tracce dei padri e dei nonni, una storia nella storia di cui ho già scritto qui per Librosì Edizioni.
Un prigioniero in fuga è la storia dell’avventura umana di un giovane scozzese nell’Italia in guerra. Ian Reid aveva sempre voluto fare il giornalista, scrive suo figlio Howard nella prefazione all’edizione italiana.
Entrato all’Accademia militare per volontà del patrigno, anche in quegli anni di formazione aveva trovato il modo per scrivere, facendo il corrispondente dai Point to Point, corse di cavalli amatoriali.
Fatto prigioniero in Tunisia, l’armistizio dell’8 settembre lo trova detenuto in un campo nei pressi di Modena dal quale fugge, insieme ad altri compagni, con l’intento di ricongiungersi, camminando verso sud, all’esercito alleato, che credevano in quel momento in rapida avanzata lungo l’Italia. Con sé ha uno scarno bagaglio, dei vestiti di fortuna «per sembrare un italiano alto», il desiderio di registrare in forma di diario scritto l’avventura verso la libertà che senz’altro sentiva stava per iniziare per loro, uno sguardo attento, una penna acuta, intelligente e ironica, e anche molto autoironica.
I diari di quei mesi, fino all’aprile del 1944, tanto gelosamente costuditi in tasche segrete cucite nella fodera della giacca, sono andati per sempre perduti, quando venne per l’ultima volta catturato in Abruzzo, ma la sua determinazione a lasciare traccia scritta di quella sua avventura, di cui da subito deve aver intuito il valore, lo portò a scrivere, durante il successivo anno di detenzione in un campo tedesco, il memoriale che oggi possiamo leggere anche in italiano.
Il libro è uno straordinario affresco dell’Italia che eravamo, un omaggio riconoscente e pieno di tenerezza alle numerose famiglie contadine che offrirono un tetto e del cibo a dei prigionieri in fuga, soldati senza divisa di un esercito straniero che per anni era stato indicato come nemico e un omaggio, anche, alla memoria di Tom Cokayne, uno dei compagni di viaggio di Ian il cui assassinio, un crimine di guerra, si consumò proprio a Orvieto. È anche una straordinaria galleria di incontri, sulle strade più marginali di un Paese impoverito e stanco, confuso e spaventato, eppure capace di generosità e coraggio, quel trovarsi semplice dell’uomo di fronte all’uomo, non importa quanto distanti le prospettive e i destini, sapendosi riconoscere «compagni di una avventura comune». Bellissima davvero questa espressione.
Ho già scritto molto sul libro e non vorrei rovinarne la lettura, che cattura allo stesso modo di un racconto di Hemingway. Aggiungo solo questo: all’inizio di luglio al Botto, dove Ian rimase nascosto per un mese, ospite delle famiglie di Ilario e Pompilio Nulli, c’è stato un piccolo omaggio al libro e ai protagonisti dell’epoca, che accolsero Ian Reid nel borgo e nelle campagne circostanti. Tanti hanno sentito raccontare quei fatti in casa negli anni e nei decenni successivi e la storia de “L’Inglese” è ancora sulla bocca di tutti. Capannelli di persone si fanno intorno al figlio, che Ian portò a conoscere quei luoghi quando era ancora piccolo, per ricordare insieme. La memoria di quei lontani gesti di coraggio e ospitalità è viva anche nelle generazioni più giovani e tanti ci tengono ad avere una copia del libro che li testimonia. Questo mi è sembrato un commovente coronamento alla tenacia di Ian Reid nel lasciare memoria scritta della sua avventura. E ci ho trovato, anche, un’altra cosa che mi pare bellissima: l’orgoglio di avere una radice in quelle vite e in quella storia e forse un auspicio, buono per tutti noi: quello di saper essere all’altezza di quelle vite e di quella memoria.
Per chi volesse acquistare il libro, oltre ai canali online, sono disponibili alcune copie presso la tabaccheria di Silvia Polleggioni, su Corso Cavour, a Orvieto.
#librinellorto è una rubrica che, come dice il nome, immerge in uno spazio congeniale alla lettura. Perché l’orto non è solo uno spazio fisico, ma anche e soprattutto un luogo dell’anima e dello spirito, che richiama, proprio come la lettura, una comunione con se stessi, una vita più autentica, rallentata dai ritmi della quotidianità. La firmano le autrici di “Di Punto in Bianco”, il progetto editoriale fatto di storie da scoprire che parla di affetti, di libri, di creatività. Entrarci è un scoprire quel giardino segreto che abbiamo a lungo cercato.
Nella foto l’autrice di questa puntata di #librinellorto, Federica Martellini. Prossimo appuntamento il 15 settembre.