di Mirabilia Orvieto
Un fatto sottovalutato è che, sebbene si stia vivendo una fase storica di globalizzazione dove a prevalere è la performance economica, la cultura rimane alla base di ogni processo di sviluppo. Avvenne così anche in passato quando la grande rivoluzione culturale portata dal Rinascimento aprì nell’Occidente un’epoca di prosperità e di progresso senza precedenti. Oggi è ragionevole pensare che il capitale economico di un monumento è direttamente proporzionale al suo “capitale culturale”, e cioè a quell’insieme di contenuti e di significati che lo rendono meglio fruibile e affascinante. Per questo si rende necessario il compito di riscoprire la cosiddetta “immaterialità” di un luogo, ossia la sua anima nascosta, la sua essenza. Ed è proprio questa immaterialità ad aver trasformato, per esempio, un capolavoro d’ingegneria nel Pozzo del Purgatorio di San Patrizio.
Tra le narrazioni leggendarie che, prima di Dante Alighieri, più contribuirono a creare la popolare visione dell’aldilà cristiano, ebbe un ruolo fondamentale il “Tractatus de Purgatorio Sanctii Patricii“ (1170-1185 circa) che racconta il viaggio intrapreso dal cavaliere Ivano attraverso la caverna nella piccola isola irlandese di Lough Derg, nota come “Purgatorio di San Patrizio”. Alla rapida diffusione di questa leggenda nell’ambito della cristianità – continuata dopo che, contro la riforma luterana, la Chiesa aveva ribadito la più complessa dottrina teologica della “purificazione dopo la morte” – è legata l’attuale denominazione del Pozzo di Orvieto, come se la dimensione religiosa fosse già contenuta nell’opera del Sangallo. In effetti cosa c’è di più sacro di un pozzo? Prima delle costruzioni di grandi cattedrali e templi furono proprio i pozzi ad assumere, insieme alla funzione pratica, anche un profondo significato religioso che li vedeva al centro dei riti di purificazione e rinascita.
Nel caso del Pozzo – scrive il filosofo Luciano Dottarelli – la costruzione simbolica si spinge così oltre alla sua esplicita finalità pratica (militare e civile) da giungere a identificarsi con il mondo delle religioni. Il Pozzo del Sangallo raccolse infatti l’eredità lasciata da quel cristianesimo medievale che forse si ispirò proprio all’immaginario islamico per formulare l’esistenza
di un terzo luogo, tra Inferno e Paradiso, dove le anime non meritevoli di ascendere subito alla beatitudine della visione di Dio dovessero temporaneamente sostare per purificarsi. Anche nell’ebraismo il dono dell’acqua sorgiva del pozzo disseta una fede ancora vacillante, purificandola dal peccato dell’idolatria che impedisce a Israele l’ingresso nella Terra Promessa. L’incontro fisico-spirituale con un pozzo sarà sempre accolto dal popolo con grande esultanza: «Scaturisci, o pozzo! Salutatelo con canti!» (Numeri 21,17).
Su questo sfondo della tradizione ebraica s’innesta l’episodio narrato nel Vangelo di Giovanni, in cui Gesù, a Sicàr, presso il pozzo di Giacobbe, incontra la donna samaritana e si rivolge ad essa con queste parole: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». Anche nella tradizione islamica il pozzo continua ad essere scenario di eventi prodigiosi. L’energia divina che ha guidato la mano dei patriarchi e dei profeti dell’ebraismo e del cristianesimo adesso promana dal Profeta, ed è invocata per compiere lo stesso, sempre atteso miracolo: far scaturire l’acqua, non solo nel suo significato materiale e spirituale, ma anche per suscitare la generosità attraverso un gesto di donazione.
Il pozzo diventa così un luogo di “misericordia” dove l’uomo impara a chinarsi sulla sofferenza degli altri uomini e di tutti gli esseri viventi, come insegna un aneddoto della sapienza islamica: “Un uomo che percorreva un sentiero fu assalito dalla sete. Raggiunto un pozzo vi si calò dentro, bevve a sazietà e ne uscì. Poi vide un cane con la lingua penzolante, che cercava nel fango qualche goccia per placare la sua sete. L’uomo, accortosi che il cane era assetato come lo era stato lui poco prima, discese di nuovo nel pozzo, riempì la sua scarpa d’acqua e fece bere il cane. Dio perdonò i suoi peccati per questa azione”. Solo l’anima purificata da una sorgente d’acqua cristallina sarà capace di atti di pietà su cui Dio elargirà la sua grande ricompensa. Nella Cupola della roccia di Gerusalemme, il terzo luogo più sacro dell’islam, costruita sulla pietra in cui il patriarca Abramo – padre di tutte le religioni monoteiste – stava per offrire la testimonianza più estrema della sua fede con il sacrificio del figlio Isacco, è infatti custodito il “Pozzo delle
anime”, il luogo dove tutti gli uomini andranno a ritrovarsi nel giorno del Giudizio finale per conoscere la loro destinazione nell’aldilà. Ma l’arcano, cioè il volto invisibile del pozzo, emerge con forza fin dai riti pagani dell’antichità. Basta ricordare il santuario di Delfi definito dagli antenati “ombelico del mondo”.
Nel mitico tempio, dedicato al dio Apollo, la sacerdotessa Pizia pronunciava i suoi oracoli; per fare questo ella scendeva in una camera inaccessibile e da lì riceveva l’ispirazione attraverso i vapori che salivano dal fondo di un pozzo sacro, situato appunto nella parte sotterranea dell’antico santuario. Questa camera era il vero “Axis Mundi”, ovvero il luogo attraversato dall’Albero della Vita che univa le fondamenta della Terra (il pozzo) con la sfera celeste (il tempio). Qui Pizia, mediatrice tra il mondo e gli dei, si abbeverava dell’acqua del pozzo insieme agli altri sacerdoti e ai fedeli, prima di ricevere e trasmettere i responsi divini sul destino degli uomini e del mondo. In conclusione conoscere il Pozzo di Orvieto, città etrusca che venerava la dimensione sotterranea e la sacralità dei pozzi, vuol dire addentrarsi in una costellazione di significati e di archetipi che radicano Orvieto nella sua storia di luogo del Medioevo e del Rinascimento, dove sono così vivi e pregnanti i segni della visione cristiana e cattolica impressi addirittura con la presenza di papi che vi esercitarono azione diretta e magistero dottrinale.
(foto 6: Locandina dell’incontro sul Geniu loci del Pozzo di San Patrizio)
Sarà allora possibile plasmare e vivificare il Genius loci del Pozzo di San Patrizio, senza rischiare di abbandonarlo al destino di una fruizione generica, riportando alla luce quella “potenza intima” che esso gelosamente custodisce e protegge e che è destinata ad essere trasformata dalla cultura e dall’azione dell’uomo. Come riconosce Christian Norberg-Schultz «proteggere e conservare il Genius loci significa concretizzarne l’essenza in contesti storici sempre nuovi. Si può anche dire che la storia di un luogo dovrebbe essere la sua autorealizzazione».