Riceviamo dal Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto Gioacchino Messina e pubblichiamo:
Cari Concittadini,
mi rivolgo a Voi per parlare della Cassa di Risparmio di Orvieto: la nostra Banca. Neanche 10 anni fa, abbiamo assistito all’ingresso, nella compagine sociale, di Banca Popolare di Bari, oggi impegnata nella cessione del suo pacchetto ad altro investitore. Il bilancio 2018 della nostra Banca si presenta con due possibili letture: la prima, ancorata ai risultati tipici di un istituto di credito, quelli ai quali Voi, in qualità di depositanti e clienti, avete concorso. Grazie alla Vostra fiducia, sicuramente ben riposta, la gestione, su questo versante, è stata positiva.
Poi, però, vi è una seconda lettura, quella complessiva, dalla quale emergono, con grande evidenza, gli effetti dell’attività attuata dall’azionista di maggioranza Banca Popolare di Bari.
Se, dunque, i risultati positivi, relativi alla gestione corrente della Nostra Banca, possono essere riassunti in questi dati (milioni di euro):
Margine d’interesse: € 22,074
Commissioni nette: € 14,466
Margine di intermediazione: € 31,988
Margine operativo netto: € 27,057
Utile prima delle operazioni straordinarie: € 3,407
Con un CET1 di 11,79%,
è innegabile la presenza di operazioni straordinarie, decise e poste in essere dall’azionista barese, che lo hanno anche visto diretto ed esclusivo beneficiario.
Mi riferisco a: (i) la svalutazione di un avviamento formatosi nel 2011, a fronte del conferimento di sportelli e di crediti effettuato, appunto, in occasione di un aumento di capitale di CRO, dalla Banca Popolare di Bari per 30,928 milioni di euro, mentre la Fondazione conferiva denaro, in proporzione alla sua partecipazione; (ii) la cartolarizzazione massiva di crediti deteriorati, fatta tra controllante (Banca Popolare di Bari) e controllata (CRO).
La prima, ha generato una perdita di € 32 milioni, e la seconda, di € 5 milioni circa, che, sommate algebricamente ai risultati positivi della gestione caratteristica, hanno condotto al risultato negativo, per l’anno 2018, di circa € 32 mln. Entrambe le operazioni mi hanno profondamente sorpreso, sia per la loro natura, con riferimento alla parte coinvolta (correlata), sia, e soprattutto, per la loro funzionalità.
Mi ha stupito, inoltre, la decisione di non evidenziare, in modo esplicito, nel documento sottoposto all’Assemblea dei Soci, i risultati della Banca, ponendo, in giusta evidenza, i dati positivi della gestione tipica e le negatività generate dalle operazioni straordinarie, e non ripetibili, come le due appena citate. La svalutazione dell’avviamento è stata decisa sul presupposto che la Banca è parte attiva di un piano industriale 2019-2023, unico con Banca Popolare di Bari.
Tale circostanza è smentita da fatti (la decisione di cedere la Banca da parte di Banca Popolare di Bari) noti ed avvenuti prima che il bilancio 2018 fosse approvato e depositato. La cartolarizzazione, invece, appare non utile in assoluto, come peraltro risultava dalle considerazioni già fornite, nel bilancio 2017, dall’allora Presidente Ravanelli, oltre che da altre evidenze indicate dall’attuale Organo.
Comprenderete, pertanto, il mio desiderio di volervi dare una visione delle due dimensioni del nostro Istituto di Credito: la prima esprime la Banca per la sua tipicità e, per questo, con una base sana, forte, fatta da dipendenti, persone, famiglie ed imprese, che hanno, nella correttezza, la caratteristica più spiccata e, quindi, sicuramente pronta per una ripartenza verso un futuro. La seconda riguarda il passato che, come tale, non dovrà ripetersi, ma neanche essere dimenticato. La Fondazione sarà attiva per fare chiarezza, nelle sedi competenti, in merito alle responsabilità degli Organi sociali e delle funzioni apicali di tempo in tempo in essere, anche in riferimento all’attività di collocamento delle azioni Banca Popolare di Bari, tramite CRO. Questo percorso è stato, da tempo, pazientemente avviato.
Il Bilancio 2018, se letto in riferimento alla sola gestione caratteristica e nella prospettiva indicata, ci consegna la fotografia di una Banca sana, con i ratios patrimoniali adeguati, con una qualità dei crediti in linea e in alcuni casi anche migliore di altre banche italiane più grandi e più blasonate, una redditività per dipendente di 12 mila euro, una raccolta per dipendente di 5,429 milioni di euro, un impiego per sportelli di 18.6 milioni di euro e per dipendente di 3,191 milioni di euro, un margine di interesse per dipendente pari a € 76.000.
Una considerazione separata deve essere svolta relativamente a tutti coloro che lavorano per CRO. La Banca, come ogni azienda, è fatta di un insieme di componenti: dal marchio ai prodotti, dalla collocazione territoriale agli investimenti. Il nostro Istituto ha potuto salvaguardare la sua capacità di raccolta grazie alla dedizione ed alla caparbietà con cui i dipendenti hanno combattuto le difficoltà, interne ed esterne, lasciando inalterata la fidelizzazione della clientela acquisita nel tempo. Questo indiscutibile valore, seppure esistente, non è iscritto o iscrivibile in bilancio.
Quale Presidente della Fondazione e nella funzione che la legge mi affida, vi confermo che, da tempo, è stata chiesta l’adozione di un piano industriale adeguato al solo territorio della Banca, capace di saper cogliere i bisogni e le potenzialità che lo stesso esprime. Insieme, la Banca per la sua parte, la Fondazione ed il Territorio di riferimento (formato da persone, famiglie e imprese) dall’altra, potremmo dare vita ad un modello di attività, efficiente, efficace e moderno, dove concetti di “attività di impresa bancaria” e “funzione bancaria” riescono a coniugarsi in modo virtuoso.
Confido che la Banca, proprio perché di piccole dimensioni, sebbene non minime, possa, da un lato mantenere e migliorare le sue tradizionali caratteristiche, avendo il coraggio, nel medesimo tempo, di rilanciarsi verso un modello di business nuovo, fatto per il cliente sia tradizionale che innovativo. Tutto questo non potrà avvenire senza la fiducia ed il supporto del territorio, nell’accezione in precedenza espressa, e dei dipendenti. Penso ai nostri giovani, i millennial ed al loro modo di rapportarsi ad istituzioni finanziarie, sia come utenti dei servizi finanziari, sia come staff della Banca. Come escludere da questa riflessione i nativi digitali, così capaci e attivi tra videogiochi, cellulari e social network?
Parliamo di una generazione che, a breve, si affaccerà sul mercato. Come dovrà essere la Banca per potersi relazionare con tutto questo? Sono aspetti nuovi, che confido la Banca sappia cogliere ed affrontare in modo agile, proprio perché snella, inserendoli nel proprio piano. Il tutto, senza tralasciare la tradizionale attenzione verso la popolazione con minore propensione agli strumenti informatici ed ai pensionati. Allo stesso tempo, come avevo avuto modo di esprimere ai vertici della Banca, è necessario pensare alla gestione dei crediti deteriorati in modo diverso da quello attuato finora: per prevenire il fenomeno, serve intercettare da subito le nascenti difficoltà per gestirle in anticipo.
Si eviteranno, così, tensioni e strappi con i clienti. In aiuto di questi ultimi, occorrerà mettere in campo strumenti capaci di gestire le problematicità in modo specialistico, coinvolgendo capitali “pazienti” e non “speculativi”, in ossequio ai richiami che il Governatore della Banca d’Italia continua a formulare. Anche questo sarà possibile, proprio perché si inserisce in un contesto della Banca che appare solido.
Qualcuno, a tale punto, potrebbe chiedersi che cosa manca? E che cosa non ha funzionato in passato?
Salvo quanto emergerà dalle verifiche in corso, in merito ai bilanci passati, a cominciare da quello del 2017, e dal ruolo avuto dai vari Organi nelle specifiche operazioni, ritengo che la Banca abbia fondato la sua azione su piani industriali inadeguati, peraltro sempre disattesi, senza che venissero assunte, per correggere il cammino intrapreso, le iniziative di volta in volta necessarie, ma anche possibili.
Penso, anche, che, in talune scelte, la Banca non abbia adeguatamente ponderato la fiducia dei suoi depositanti e clienti. Fare banca significa essere attenti al mercato di riferimento che, oggi più che in passato, è estremamente volatile ed esigente, capace cioè di confrontare prodotti e servizi, con le relative condizioni, in estrema velocità. Essere banca commerciale retail significa essere sul Territorio costantemente, saper ascoltare, sapere e volere confrontarsi, essere attenti ai bisogni per definire adeguate strategie, ovvero modificare quelle in essere, il tutto in modo sapiente.
Essere Banca nel Territorio significa avere una forte attenzione ai temi ambientali e sociali, quelli che leggiamo sotto gli acronimi ESG e corporate social responsibility, con la convinzione che la loro attenta e continua gestione crei valore per gli azionisti.
La mia impressione è che gran parte di queste attenzioni siano mancate, sia nei piani che nell’organizzazione della Banca. Ma, ancora una volta, questo è il passato. In attesa di comprendere l’esatta formulazione dell’offerta di acquisto, che SRI Group ha rivolto alla Banca Popolare di Bari, guardo al futuro con più fiducia. Mi auguro che, superato il vaglio soggettivo e l’esame del piano industriale sotteso all’ingresso nel capitale di SRI Group, si delinei un periodo di trasparente fattiva collaborazione fra i Soci. Se il nuovo azionista della Banca saprà comprendere le istanze del Territorio, e in questo la Fondazione potrà svolgere uno specifico ruolo, e allo stesso modo se il Territorio risponderà positivamente all’auspicato cambiamento, potremmo avere una nuova Banca più efficiente, forte e più moderna.