di Gabriele Marcheggiani
C’è sempre una storia da raccontare affacciandosi dall’alto della Rupe o guardandola un poco discosti, da uno dei mille poggi che la circondano. Dalla sommità del suo trono di tufo, Orvieto domina la valle del Paglia, laddove questo va a confondere le sue acque con quelle del fiume di Roma, circondato da colli e borghi che racchiudono ciascuno uno scrigno non del tutto aperto.
Da millenni questa è la Terra di uomini operosi, forti, capaci, testardi, che hanno saputo solcare la Storia come il loro aratro ha solcato la terra generosa di cui sono stati guardiani attenti. Orvieto è luogo antico, terra etrusca e romana, di arte e di fede, terra di confine e di congiunzione di culture, terra di argilla, di tufo e di vigne sospese. Perchè Orvieto, da sempre, è terra di vino.
Enrico Neri è viticoltore per passione innanzitutto, se manca questa l’impresa di fare del buon vino proprio non riesce o non riesce come dovrebbe. Nelle sue vene scorre sangue umbro e toscano, come il connubio felice che ha fatto la fortuna del bianco orvietano nel corso dei secoli: i toscani infatti, ricchi di uve rosse per cui si son fatti conoscere in ogni angolo del pianeta, venivano a Orvieto ad acquistare uva bianca di qualità, di cui la loro terra era prevalentemente sprovvista.
Dagli anni dopo la guerra, in cui la sua famiglia abitava nel castello di Corbara, l’uva e il vino sono stati il valore costante, il filo conduttore che ha segnato la loro storia: oggi, dal casale di Bardano che domina da nord la rupe orvietana ed i monti Amerini, Enrico si racconta in una delle mille e mille storie di cui questa terra è ricca. Lui, con la curiosità e la sfrontatezza di un giovane, nel 2006 decide che quelle vigne, la cui uva veniva semplicemente raccolta e conferita, avrebbero dovuto iniziare a produrre un vino proprio, un prodotto che si ponesse ai piani alti in fatto di qualità.
“Non è stato semplice iniziare in quegli anni in cui il vino attraversava un periodo di crisi. E’ stata una sfida dettata dalla passione per questa terra, un tentativo riuscito di dare un valore aggiunto alla tradizione di famiglia, al nostro essere vignaioli”, esordisce. Fedele ad una tradizione che affonda le radici nella storia bimillenaria di questo territorio, Enrico Neri, come ogni altro vignaiolo e produttore del luogo, si sente portatore di una sapienza antica che dall’epoca etrusca, tramandata di generazione in generazione, ha fatto di Orvieto un luogo privilegiato per la produzione vitivinicola.
Con la predilezione di uve autoctone, il grechetto e il procanico in particolare, la sua cantina ha inteso collocarsi indubbiamente nel solco della tradizione orvietana, dando lustro ad un bianco che fino a trenta – quaranta anni fa era forse il più apprezzato d’Italia.
“Sugli ottanta ettari a nostra disposizione, riusciamo a produrre anche ottantamila bottiglie l’anno, riservando alla vinificazione in proprio circa il 20% dell’uva prodotta, mentre il resto continuiamo a conferirlo. Piano piano ci siamo affermati, siamo riusciti a creare un vino di qualità alta che rispondesse a determinate richieste del mercato: io credo che la gente, soprattutto in un prodotto come il vino, cerchi soprattutto la qualità ed è qui che a mio avviso si riesce a creare valore”.
La sua clientela è principalmente italiana, umbra in particolare, segno che anche nel territorio circostante, anche in quello a vocazione vitivinicola, il suo vino è riuscito a ritagliarsi una buona fetta di mercato. Con il suo vino macerato ed il suo spumante di grechetto, Neri ha aggiunto frecce al suo nutrito arco, che in tredici anni di vita della cantina, conta oggi quasi dieci etichette differenti.
Il suo vino nasce dalla cura attenta, quasi maniacale, di ciascun grappolo di uva, senza tralasciare nulla al caso.
Se la vendemmia, ai tempi della sola produzione destinata alla vendita, veniva svolta principalmente con macchinari appositi, da quando ha deciso di produrre da sè il proprio vino, è ritornato alle origini del mestiere, iniziando a vinificare fin dalla scelta nella raccolta dei grappoli.
E non poteva essere altrimenti. Per evitare qualsiasi processo di fermentazione anticipato, l’uva viene raccolta in cassette, possibilmente nelle ore più fresche della giornata, e portata immediatamente in cantina dove grazie ad un processo particolare, la sua temperatura viene abbassata di ben dodici gradi e pressata in un ambiente in assenza di ossigeno.
“Lo facciamo per salvaguardare i sapori autentici del nostro vino e questo processo ci consente anche di abbassare il livello di solfiti: le nostre bottiglie ne contengono 70/80 microgrammi per litro quando il disciplinare di un vino biologico ne consente fino a 150…il doppio, praticamente. I nostri clienti di questo si accorgono, sanno che il nostro vino non gioca brutti scherzi alla testa ed è prodotto evitando al massimo qualsiasi artificio”. E’ la qualità senza se e senza ma, quella che può rendere il vino orvietano sempre più appetibile sul mercato.
Enrico Neri si augura che molti altri piccoli viticultori seguano con il tempo il suo esempio, incrementando di molto la produzione di vino in loco: solo così, secondo lui, il prodotto Orvieto potrà acquistare sempre più importanza, sugli esempi di altri territori, anche umbri, che pur non avendo grandi estensioni di vigne, hanno amplificato al massimo la produzione di vino sul luogo di origine.
Perchè il vino e la cultura che ruota attorno ad esso da millenni, sono anche un motore di sviluppo del territorio, un volano economico in grado di creare ricchezza e lavoro, basta crederci e avere la giusta determinazione per investirci.
Se Orvieto e il suo territorio riuscissero finalmente a far tesoro delle proprie peculiarità, questa terra potrà finalmente tornare agli antichi fasti, erede di una Storia antica che continua senza sosta la sua scrittura quotidiana. C’è la passione innanzitutto, ereditata dalla sua famiglia che ha saputo rapportarsi con il territorio circostante fino a farsene partecipe, come tanti produttori locali di uva, vino ed olio, le vere miniere di Re Salomone dell’orvietano.