di Stefano Corradino
Benché da alcuni anni residente a Roma e quindi non elettore il prossimo 26 maggio, sono un cittadino orvietano. Pertanto, per dirla con De André, pur sentendomi assolto, sono per sempre coinvolto. E avendo partecipato per trent’anni alla vita politica, sociale e culturale della mia città (e più volte interpellato a “scendere in campo”) provo a dare un contributo al dibattito.
Con la premessa che non concluderò la mia “perifrasi” con un appello al voto per l’uno/a o per l’altro/a. Pur restando fedele alle mie convinzioni ideali e politiche vorrei semplicemente offrire qualche spunto al sindaco o alla sindaca che verrà.
Mi piacerebbe per cominciare che gli orvietani recuperassero il piacere dell’orvietanità. Non in chiave “sovranista” ma per il piacere e l’orgoglio di sentirsi parte di una comunità con una storia, delle tradizioni, e delle eccellenze da valorizzare.
Perché è l’idea stessa di comunità che negli anni è venuta meno, qui come in tante altre piccole realtà del Paese (a me riempie sempre di orgoglio, da cittadino che vive fuori, dichiararmi orvietano ed invitare ad Orvieto chi non la conosce e suggerirgli cosa visitare, a quali eventi partecipare, o dove mangiare).
Non entro nel merito del dibattito su calanchi e termovalorizzatori, parcheggi o zone a traffico limitato… Mi piacerebbe un sindaco o una sindaca che si circondasse delle teste migliori della città senza pensare alla croce che mettono al momento del voto. Le energie più vive, pensanti, motivate, disinteressate al potere, ma interessate a cosa poter fare per migliorare la città (e ce ne sono a sinistra, al centro e a destra, tra donne e uomini, anziani e giovani, residenti e non).
Mi piacerebbe un sindaco o una sindaca che guardasse il dito e anche la luna. Che si occupasse delle necessità quotidiane di una città ma che di quella città ne avesse un’idea per il futuro, una prospettiva. Che nel suo agire quotidiano si percepisse non solo la volontà e la capacità di gestire l’esistente ma di saper proiettare la città negli anni e nei decenni a venire.
Mi piacerebbe un sindaco o una sindaca che avesse il coraggio di rischiare (con saggezza e lungimiranza) e non di legiferare con apprensione per la paura di scontentare interessi di bottega, di partito, di lobbies economiche e finanziarie.
Un sindaco che scandisse nel tempo degli obiettivi concreti e li portasse a termine.
E qui mi permetto una breve “digressione programmatica”:
Orvieto ha un’industria trainante ed è quella turistico-culturale. La gran parte delle scelte amministrative dovrebbero tendere verso la valorizzazione di questo capitale umano ed economico. Specie quando le presenze turistiche nella città tendono ad aumentare.
E allora in questo quadro i grandi contenitori storici locali (dalla Caserma Piave all’ex
ospedale ma ce ne sono tanti altri) non possono rimanere pressoché inutilizzati a distanza di anni e la priorità deve essere quella di una loro rapida e strategica destinazione d’uso (in questi ultimi 30 anni qualcuno ha mai lavorato seriamente per trasformare Orvieto in un polo universitario vero sfidando apertamente gli interessi di quelli che ostacolano questa sua vocazione naturale?) E perché non pensare di rivitalizzare il centro storico riportando tutti gli istituti scolastici superiori sulla rupe?
Ma se Umbria Jazz Winter è un marchio storico e consolidato che crea indotto ed esporta anche all’estero l’immagine di Orvieto perché non lavorare intorno a un’idea di città della musica e della cultura con un evento al pari di UJW ogni stagione? Ora banalizzo (ma non troppo). 30 anni fa ad Orvieto c’erano più di cinque sale cinematografiche. Compreso un cinema all’aperto che d’estate ogni sera raccoglieva centinaia di persone in una cornice suggestiva con le guglie del Duomo a fare da sfondo e da cornice. Una collettività che si riunisce. Ripristinare l’iniziativa determinerebbe un esborso così colossale?
Pensieri e parole in libertà le mie. Scritte sul treno (che anche sui collegamenti ferroviari ci sarebbe da dire…) mentre da Roma torno nella mia amata Orvieto. Con il dibattito che si infuoca nei bar reali e virtuali (i social). Con almeno un anno di ritardo. O trenta. Perché il destino di una città come Orvieto non si può progettare a un mese dalle elezioni ma, quantomeno per chi si candida a migliorarla, dovrebbe essere una pulsione quotidiana, un imperativo etico, un’utopia concreta all’orizzonte della realtà.