Markesing 5
IL MARCHIO (BRAND) ORVIETO
Domenica 5 maggio
di
Gianni Marchesini
Ora che siamo giunti al quinto intervento di Markesing per una città altra e strana, proviamo a domandarci a che punto siamo e di che cosa disponiamo. Beh, intanto abbiamo un progetto chiaro e visionario come devono esserlo i progetti quando le città sono obbligate a una svolta epocale della propria storia.
Abbiamo inoltre individuato un nuovo motore economico (il Progetto coinvolge in toto l’economia della città) che trova il suo carburante nel turismo, unica risorsa di cui Orvieto dispone, ma non in quello attuale, incontrollabile, dal quale – come abbiamo scritto – finiremo per essere soggiogati, ma nel Turismo Esperienziale che non subisce acriticamente il turismo, ma lo governa e ne alimenta le possibilità di infondere linfa vitale all’economia della Rupe con nuove prospettive occupazionali, con lo stop al declino demografico e con l’obiettivo principe, quello di una città/impresa che con i suoi profitti attenui le tasse dei cittadini.
Perché non si ingenerino equivoci, il turismo esperienziale, in estrema sintesi, consiste nel fabbricare e proporre a un target orientato che si va a “pescare” con la Rete, un’esperienza unica dalla quale il fruitore/turista esce particolarmente contento e, di conseguenza, felice di sborsare dei quattrini.
Tale esperienza avrà il segno del Marchio o del Brand Orvieto, sarà un prodotto della cultura della città permettendo al turista di immergersi in essa (alla stregua di un cittadino orvietano pro tempore) e non nel suo contrario come, ahimè, avviene per il turismo sciatto e indeterminato dei giorni nostri.
Si può comprendere allora come il turismo esperienziale sia destinato ad accendere un’attività e a creare quindi diverse opportunità di lavoro per ogni prodotto dei molti che offrirà sul mercato turistico. Prodotti esperienziali che, solitamente, abbisognano di un certo numero di microattività accessorie.
Poniamo il caso allora che già sia attiva e operativa l’ Agenzia per la Città (il nostro Mulino Bianco, come può ben comprendere chi ha letto gli articoli precedenti), emanazione del Comune perché, come abbiamo già scritto, un’Amministrazione, nei modi con i quali è strutturata, non è in grado di gestire con metodo aziendale programmi nel medio termine di complessa e puntuale articolazione. (Abbiamo un esempio vicino, in “Casa Civita” emanazione del Comune di Bagnoregio).
L’obiettivo di tale Agenzia è quello di orientare, attestare l’economia cittadina sul turismo esperienziale attraverso il passaggio nodale dall’attuale turismo naturale al turismo industria. Cosa facciamo allora? Con quale iniziative cominciamo a muoverci? Perché il turista possa vedere, osservare, sperimentare, imparare, condividere, gustare sarà necessario allestire una città che nel suo restylng totale si ispiri a tre parole che ne indichino il modus operandi, la strategia di city branding.
Le tre parole ispiratrici sono: BELLEZZA, QUALITÀ, RICONOSCIBILITÀ e saranno condizione assoluta e insostituibile di qualsivoglia intervento innovativo. Una città che aspira a diventare non una città dove andare, ma un luogo dove vivere e che su tale aspirazione fonda la meta ambiziosa di un nuovo assetto socio economico, esige che ci si ricongiunga al senso della bellezza del passato, che ci si accinga a ragionare con la testa dei Signorelli, degli Scalza, si dispone per servire la bellezza, il verso della buona estetica che si applica alle cose con la qualità delle stesse e tende ad arrivare a essere unica, riconoscibile, ad aumentare quell’indice di riconoscibilità che evidenzia la percezione che una città produce nell’immaginario globale.
Come abbiamo accennato non c’è approccio all’assetto urbano che non debba essere coerente con le tre parole ispiratrici di bellezza, qualità, riconoscibilità perché il brand città che l’Agenzia dovrà costruire non è legato ai soli simboli architettonici, alle opere in genere, ma alla efficiente fruizione dell’area urbana nel suo complesso per le categorie, seppur differenziate, del turismo esperienziale.
Ciò che cerca il nostro turista non è la fruizione del monumento, dell’opera artistica; per conoscere quelli naviga su Internet prima di giungere in città, come suol dirsi, già “imparato”. Quando il nostro arriverà a Orvieto, presumibilmente avrà già prenotato qualcosa che sia un matrimonio in fondo al Pozzo di San Patrizio, un corso di tornio e ceramica, una dieta con escursioni a piedi e corso di cucina, un seminario sulle figure cabalistiche sulla facciata del Duomo, una settimana a spasso per cantine, una degustazione di muffa nobile giù nella “muffa” dell’Orvieto underground o, per il target degli esibizionisti, un posto, a pagamento si intende, per sfilare nel Corteo Storico..
Ciò che si attende trovare è una serie di elementi che identificano il bello e il buon vivere che lui dovrebbe già conoscere come offerte uniche e peculiari della nostra, della “sua”, seppur provvisoria città. Insomma, quello che si è soliti chiamare ATMOSFERA. In una città a vocazione esperienziale, sarà la sua atmosfera che dovrà infondere l’idea dell’esperienza, della “cosa da ricordare come esperita” all’interno di un’aria speciale, avvolgente, indimenticabile.
Costruire il brand città, munire la città di una forte attrattiva, trasferire le figure, i colori, le sensazioni necessita un driver di creazione visionario e nello stesso tempo razionale, collegato ai meccanismi commerciali, sociali, finanziari, urbanistici. Contemporaneamente, con la massima collaborazione dell’Amministrazione che sarà al comando, è urgente operare un sorta di distruzione creatrice per quante sono le brutture accumulatesi nel corso degli ultimi anni durante i quali ognuno ha ritenuto di rispondere con la sua personale “visione estetica” a un turismo omologato e per lo più distratto che là dove arriva disegna l’estetica della città secondo un modello standard, generalmente acquisito, di tendaggi, di gazebo, di cartelli, cartelloni, cartellini, di patetiche bancarelle del nulla, di piante, sottopiante d’una variegata flora sub tropicale, di bacheche che non sono più di nessuno, vetrine di negozi sfitti tempestate di manifesti strappati, di mendicanti molesti, non molesti ma inginocchiati, di cinghiali affacciati, di artisti di strada solo strada e niente artisti, di cassonetti orribili e sporchi, di angoli fatiscenti e portoni pubblici scarabocchiati, di “borberi” (indistintamente tutti) ben irrorati dalla piscia dei cani che incombono litigiosi e troppo numerosi su e giù per il centro..
Via via la città cela le sue intime bellezze, le sue forti potenzialità espressive e diventa identica, si uniforma a centinaia di altre città. La massa turistica di una comunità che non è in grado di rispondere con comparti economici robusti, un ceto forte, geloso della propria appartenenza culturale, sociale e quindi estetica, termina con il modificare perfino l’immagine globale della città esigendo un arredo urbano anarchico e sgangherato che finisce per nasconderne l’anima, la sua intima, originaria atmosfera.
L’operazione di city branding, la costruzione di un Marchio Orvieto attraverso un restyling profondo della città perché ritorni bella, esprima qualità e abbia un indice di riconoscibilità elevato, è l’impresa più difficile per l’Agenzia per la Città, per l’Amministrazione che l’ha emanata e con essa collabora, ma è un passaggio necessario e obbligato nel quale le categorie saranno chiamate a un coinvolgimento co-creativo per accogliere un turismo nuovo, esigente, stanziale, ricco, individuabile e programmabile che è il turismo esperienziale poiché è proprio la città, prima di ogni altra cosa, a dover lasciare il sapore di un’esperienza unica e indimenticabile, della sua anima silenziosa e antica, dei suoi servizi di qualità, della sua inconfondibile unicità: il Marchio Orvieto che verrà.
Nel prossimo intervento, il sesto, la formazione dei brand cittadini che interagiscono con il brand Orvieto in un processo globale e co-creativo.
Alla prossima domenica.