di Franco Raimondo Barbabella
Chi in questi giorni cerca di capire attraverso i mass media che cosa succede nel mondo che ci possa riguardare più da vicino getta uno sguardo certo su Cina e Venezuela, ma poi inevitabilmente si sofferma sulla vicenda della Brexit e sulle conseguenze che essa può avere per i rapporti del Regno Unito con l’Europa e in generale per tutti noi.
La Brexit è una vicenda talmente complessa che a provare di entrarci dentro in dettaglio ci si può perdere. Se però andiamo all’essenziale, capiamo che essa è semplicemente il punto di arrivo di un’illusione, quella dell’orgoglioso isolazionismo isolano della Gran Bretagna. Quell’isolazionismo che non ha consentito mai ai diversi governi di abbandonare la sterlina a favore dell’euro e di aderire completamente all’Unione europea, ciò che ha prodotto ostacoli su ostacoli allo sviluppo di un forte europeismo sia economico che politico e soprattutto istituzionale.
È sorprendente però che una classe dirigente che ha alle spalle una lunga storia straordinaria di portata mondiale come quella inglese non abbia capito per tempo che cosa è cambiato con la mondializzazione (economia, sistema delle comunicazioni, policentrismo geostrategico) e si sia illusa che si potesse impunemente abbandonare l’Europa con l’idea di poter continuare da una parte a beneficiare dei vantaggi delle relazioni europee e nel contempo di godere di un privilegio di relazioni euratlantiche con gli USA. È sorprendente ma è successo. Ed è evidente perché.
Il perché è che ad un certo punto, negli anni scorsi, nella classe dirigente inglese ha preso il sopravvento quella parte di essa che, incoraggiata dai successi del sovranismo in Russia e negli USA, ha pensato che fosse giunto il momento di sperimentarlo anche in Gran Bretagna. Tra un’illusione e un’altra, tra una bugia e un’altra, tra una paura e un’altra, tra una promessa e un’altra, il popolo inglese abituato da tempo a dare più importanza agli affari e alla quotidianità e a snobbare gli impegni di difesa e affermazione della democrazia, non ha capito bene le conseguenze e ha votato a favore dell’uscita dall’Europa.
Poi, man mano che le scadenze del percorso di uscita si sono fatte stringenti, si è visto il guaio in cui ci era cacciati, ma ormai era tardi. Certi processi, quelli che si mettono in moto sotto la spinta di pulsioni irrazionali, si sa come cominciano e mai come possono finire. Quello della Brexit oggi rischia di essere drammatico per gli inglesi. Basti pensare al pericolo di ripresa del conflitto anglo-irlandese, alla fuga delle grandi aziende internazionali, alla crescita dell’indebitamento delle famiglie negli ultimi otto mesi (indagine recente).
Viene da domandarsi a questo punto del dramma come sia stato possibile che l’illusione dell’isolazionismo sia arrivata al punto da sposare le posizioni sovraniste, che hanno in sé con tutta evidenza germi così illiberali che possono mettere in discussione le basi stesse della democrazia. Farage e Ben Johnson non sono certo potenziali dittatori ma politici capaci di avventure imprevedibili pare proprio di si. Possiamo dire dunque che lo spettacolo cui assistiamo rappresenti i prodromi della crisi della più antica democrazia del mondo (dopo quella ateniese ovviamente, che però era tutt’altra cosa)? Forse si. In ogni caso lo spettacolo rischia il ridicolo istituzionale. Non dimentichiamo che l’Inghilterra è stato il Paese in cui nel 1215 fu adottata la Magna Charta Libertatum e nel 1689, a seguito della “Gloriosa rivoluzione”, nacquero monarchia costituzionale e stato liberale moderno. Dov’è finito l’orgoglio di insegnare al mondo la democrazia?
Ecco, da tutto ciò sarebbe importante anche per noi che scaturisse una riflessione ampia e profonda, e dunque capace anche di incidere sulla cultura diffusa e sui comportamenti civili e politici, su ciò che significa sovranismo da cui derivano inevitabilmente comportamenti che incidono più rapidamente di quanto non si creda sui fondamenti della democrazia liberale. Il sovranismo non è un gioco di paure e di esibizione muscolare di esorcisti, è un pericolo vero. Può prendere le classi dirigenti di un Paese e diffondersi nel corpo molle di una società in difficoltà. Può diventare politica praticata a tutti i livelli. Può diventare anche l’illusione di imporre diktat elettorali ad un partito o anche ad una città. Insomma, è un pericoloso germe di degrado democratico. Stiamoci attenti, ci riguarda.