di Gianluca Foresi
Come molti che hanno guardato increduli e impotenti l’incendio di Notre Dame, sono rattristato e addolorato per la distruzione di una grossa porzione della cattedrale. Quel monumento non è solo patrimonio dei francesi, ma di tutti noi: è patrimonio dell’umanità.
Questa vicenda ha riportato alla memoria di tanti le vignette che la rivista Charlie Hebdo fece in occasione del terremoto di Amatrice e il crollo del ponte Morandi e, leggendo vari commenti, mi sono accorto che in molti si domandavano provocatoriamente se la rivista anche stavolta avrebbe fatto satira su un evento che li riguardava così da vicino. Puntualmente come suo costume e rispettando il ruolo che si è data, anche in questa occasione la vignetta è arrivata: l’incendio viene associato ad una notizia di politica economica, che riguarda le riforme disattese dal governo Macron.
Ma non è tanto delle vignette o del funesto evento che ha colpito i francesi questo che qui vorrei dire, quanto invece delle solite critiche e polemiche riguardanti il concetto di satira, di quello che dovrebbe essere e ciò che dovrebbe suscitare: troppi ancora credono erroneamente che la satira debba per forza far ridere, che se non si ride allora non è satira.
Ma finché si continuerà ad associare la satira soltanto alla risata, non ne si coglierà il vero compito, il ruolo eminente che essa ha, ovvero quello di fustigatrice del moralismo, del pensiero eteroditetto, del pregiudizio o semplicemente di osservatrice della realtà.
Più che far ridere la satira deve essere una frustata, un colpo allo stomaco, non deve essere accomodante, confortante, bensì rivoltante, deve farci uscire dagli schemi di pensiero dentro ai quali siamo abituati a muoverci, deve essere rivoluzionaria, cioè ribaltare il nostro punto di vista. Quando penso alla satira, non mi vengono in mente grasse risate né sorrisi, la associo piuttosto alla convulsione che può provocare, a una scossa elettrica, a un brivido che percorre la schiena. Una cosa mi preme sottolineare, e cioè che non è la satira a creare il dolore o la morte o la distruzione, lo mette solo in evidenza, perciò di quello che è successo non ha responsabilità.
Ciò che proviamo leggendo una battuta dura e corrosiva è gia provato e accaduto, non l’ha generato la satira, al massimo lo può descrivere o interpretare o riportarlo alla coscienza o amplificarlo per non farcene dimenticare troppo presto. Ci vuole coraggio a scrivere o dire cose che sicuramente infastidiranno o creeranno sconquasso, portando le persone a mille reazioni e critiche, se non addirittura a uccidere chi semplicemente usa una penna per esprimere della idee. Io dico Viva la satira a ogni costo, perché, anche se non ci piace, rientra nella libertà di parola e di espressione, che altri prima di noi hanno conquistato e che noi dovremmo proteggere per onorarne la memoria.
Per tutto questo io continuo a essere Charlie. [suggeriti]