di Valeria Cioccolo
Nova Civitas propone un lavoro solidale che porti ad una nuova concezione sociale, in cui scopo non è unicamente il profitto, ma lo sviluppo del benessere collettivo. Come? Riappropriandosi profondamente dei valori di polis e democrazia. Il lavoro come finora lo conosciamo si basa su un contratto che ha un fine soprattutto di carattere economico. Quando si parla di lavoro solidale e impresa la domanda da porsi è se un rapporto di lavoro basato su questo tipo di accordo possa prevedere anche azioni di solidarietà. Negli ultimi anni si sono sviluppati forme di lavoro “solidale”, basti pensare ad esempio “lavoro in solidarietà” a cui le grandi aziende ricorrono in momenti di crisi, o le ferie solidali, previste in molta contrattazione collettiva nazionale e aziendale.
Ma la parole solidale/solidarietà fanno venire in mente un mondo un po’ più ricco e complesso. Si può pensare infatti alle tante situazioni in cui tutte le persone coinvolte in un tipo di lavoro vanno tutte verso lo stesso obiettivo. In tal modo non si guarda più soltanto all’interesse del singolo, ossia lo stipendio, ma all’interesse comune. Il bene comune. Impresa e lavoratori devono rapportarsi secondo un criterio di uguale peso dei propri diritti e non di prevaricazione l’uno sull’altro, in un atteggiamento di conflitto.
Questo è un modo nuovo di guardare al lavoro e di affermare principi tridimensionali di solidarietà. Le condizioni per fare questo presuppongono tuttavia un superamento di un interesse di tipo capitalistico, significa poter lavorare a parità di condizioni, e non avere come unica finalità la conquista di clienti. L’equilibrio tra l’agire in modo solidale e esercitare il diritto di guadagno è ancora molto difficile da raggiungere, ma ci sono dei settori specifici in cui non può essere prioritaria la logica del mercato e del profitto. Ci sono dei doveri che per logica e per struttura del mondo umano vengono prima del diritto di guadagno. Per esempio il mondo della educazione o delle cure mediche.
Un problema etico – L’abitante della ‘polis’, il cittadino, non può vivere solo nella logica del profitto individuale. La salute della polis è un dovere a cui non corrisponde un guadagno immediatamente tangibile, ma da cui non si può prescindere per poter godere di una situazione in cui tutti possano vivere esercitando i propri diritti. Si chiama bene comune. Si chiama democrazia. Eppure se ci guardiamo intorno vediamo quanto siamo ancora lontani da questo, il benessere da perseguire è ancora quello del singolo, non importa se questo non si concilia con il bene comune.
Il mondo dell’educazione, che ha la responsabilità di formare dei buoni cittadini, deve destrutturare questi copioni così individualistici, per restituire alla comunità umana quella dignità che passa necessariamente attraverso il riconoscere come obiettivo il benessere di tutti e di questo bene tutti devono sentirsi parte ma anche responsabili. Anche il mondo dei sindacati oggi ha un po’ perso le coordinate fondamentali della sua mission, perché non attiva sempre la difesa dei diritti del singolo individuo, ma spesso la difesa del mestiere. Ecco che allora il binomio lavoratore per l’impresa e impresa per lavoratore, potrà acquisire un senso concreto e costruttivo di un nuovo tipo di ricchezza.
Queste riflessioni sono state elaborate dalla sintesi redatta dalla professoressa Maria Caterina Leonardi coordiantrice del tavolo di lavoro “Lavoro solidale, educazione, rapporto di lavoro solidale tridimensionale” nell’ambito della Giornata della Disconnessione di Nova Civitas svolta presso Vetrya.