Commento di Dante Freddi- Questo intervento di Camilleri è commovente, ancor più per chi sa di avere vissuto gran parte del suo tempo e guardandosi intorno si accorge che il mondo che sperava, e per cui magari si è speso, non è questo e probabilmente domani sarà peggiore. Come accade a me. Camilleri torna indietro e vede gli stessi sintomi che produssero un’epoca infelice e foriera di distruzione, tra il dopo della prima guerra mondiale, la nascita del fascismo e la dittatura e la guerra.
In molti avvertono che la storia si sta ripetendo, ovviamente in nuove forme, e che le dinamiche che portarono al fascismo si stanno affacciando nell’indifferenza dei più, con pochi intellettuali che gridano di stare sull’avviso e molti fascisti dentro che sostengono che il fascismo non c’è più, anche con un po’ di nostalgia. Magari dei treni in orario, poco importa la libertà.
Semplifico una sommaria ricostruzione. Nel 1919 Mussolini si accorse, dopo aver raccolto soltanto 5mila voti in occasione delle elezioni di quell’anno, che a sinistra non c’era spazio, compì la cosiddetta svolta a destra, àmbito politico e sociale in cui i liberali erano ormai imbelli e i cattolici impreparati e confusi, nonostante il grande successo del neonato Partito popolare sturziano. C’era stata la rivoluzione russa e il trionfo del bolscevismo, nelle fabbriche italiane gli operai scioperavano, anche nelle campagne il 1919 e i due successivi videro fenomeni di ribellione sconosciuti e impaurirono la classe media, soldati delusi e maltrattati, impiegati, agricoltori, piccoli proprietari, industriali. Nacquero le milizie armate fasciste che si opponevano a quelle armate socialiste e poi comuniste, con violenze inaudite da ogni parte. Nel ’22 i fenomeni che avevano scatenato la paura erano ormai falliti, ma la paura no, quella non dura così poco, entra dentro, fa essere in un modo o in un altro. E ci fu la marcia su Roma, l’assassinio di Matteotti, la legge elettorale Acerbo, le leggi speciali, la dittatura. Gran parte di chi viveva la quotidianità non aveva capito cosa stesse accadendo, compresi politici raffinati cattolici e liberali, e si trovarono in neppure quattro anni immersi nella dittatura. Il nemico bolscevico in Italia era già stato sconfitto dalla storia e chi se ne era assunto il merito stava invece con il tallone sul collo del Paese.
Attenzione, certamente la Storia non si ripete in modo uguale, soprattutto in tempi in cui tutto è accelerato straordinariamente e i contesti cambiano con rapidità sconosciuta, ma gli uomini seguono modalità di comportamento che sono dettate sempre dalle stesse leggi della natura e che l’evoluzione rende soltanto più complesse e sofisticate.
Oggi il nemico è l’immigrato, ieri il bolscevico, entrambi assaliti quando ormai il problema è ed era controllabile. Ma basta una folatina di vento sulla paura e quella si ravviva.
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“Una delle mie più grosse pene è proprio questa: a 93 anni, a un passo dalla morte, vedo un’Italia che non mi aspettavo di lasciare in eredità a nipoti e pronipoti”
“Non ho rimpianti per il passato. Però questo è davvero un brutto passaggio nella storia italiana che temo non abbia paragoni con altri periodi”. Lo dice lo scrittore Andrea Camilleri in un’intervista a Repubblica, dove definisce l’Italia di oggi “un paese che torna indietro, come i gamberi. È come se avesse cominciato a procedere in senso inverso, smarrendo le importanti conquiste sociali che aveva realizzato in passato. Se devo essere sincero, io non riconosco più gli italiani”, dice.
E a proposito delle posizioni del ministro dell’Interno e leader della Lega, Matteo Salvini: “Non voglio fare paragoni – osserva Camilleri – ma intorno alle posizioni estremiste di Salvini avverto lo stesso consenso che a dodici anni, nel 1937, sentivo intorno a Mussolini. Ed è un brutto consenso perché fa venire alla luce il lato peggiore degli italiani, quello che abbiamo sempre nascosto”. Quale? “Prima di tutto il razzismo. Noi ci siamo riparati dietro l’immagine stereotipata di ‘italiani brava gente’, ma non è sempre stato così, specie nell’Africa Orientale. Su questo preferisco sorvolare. Però ricordo ancora le scritte che mi accoglievano a Torino negli anni Sessanta quando andavo a lavorare nella sede Rai: ‘Non si affittano case ai meridionali'”.
“Una delle mie più grosse pene è proprio questa: a novantatré anni, a un passo dalla morte, mi trovo a lasciare a nipoti e pronipoti un’Italia che non mi aspettavo di lasciare in eredità. I miei uomini politici si chiamavano De Gasperi, Togliatti, Nenni, Sforza. Avevano un preciso concetto dello Stato e di quello che si poteva fare del paese. Abbiamo ricostruito l’Italia, ora la stiamo risfasciando. Per questa ragione sento di aver fallito come cittadino italiano. E mi pesa molto”, conclude Camilleri.