di Franco Raimondo Barbabella
Galli della Loggia, a parte qualche sbandamento, da cui in realtà nessuno può dirsi immune, qualche volta c’azzecca. Ad esempio quando, al termine del suo fondo di ieri sul “Corriere della sera” dedicato alla visita del premier Xi Jinping e alla firma del memorandum Italia-Cina, si spinge ad affermare che le ragioni dell’economia non possono sopravanzare quelle della politica, che consigliano prudenza e lungimiranza, cioè un sano realismo ben fondato però sulla “fedeltà a quei valori di libertà, di eguaglianza e di umana decenza che fino a prova contraria costituiscono ancora oggi la ragione del nostro stare insieme e che ci vengono da una storia che solo in Terra santa, in Europa e negli Stati Uniti ha la sua radice. Non tra le mura della Città proibita”.
Trovo questo richiamo ad un sano realismo fondato sui saldi valori che definiscono le ragioni del nostro esserci, come popolo tra altri popoli, perché già oggi si capisce che, mentre “nel nostro futuro si profila una situazione da far tremare le vene e i polsi”, l’opinione pubblica è sempre più lacerata tra “anime belle pronte a illudersi su tutto o radicali disposti a giocarsi i destini del Paese per soddisfare le proprie ubbìe ideologiche”. Insomma, guai a dimenticare chi siamo per storia, cultura e collocazione geostrategica. Gli accordi con la Cina vanno benissimo, a patto che non dimentichiamo due cose:
1. Che cosa è quel Paese, la lontananza del suo assetto istituzionale e i connotati della sua politica interna;
2. Il disegno di espansione globale che rappresenta la “Nuova via della seta” (Belt and Road Initiative, BRI).
Tanto più che la complessità e la delicatezza di questa questione si legano ad un problema di fondo che riguarda la nostra democrazia, la sua endemica ed ora aggravata debolezza. Problema che sabato scorso ha sollevato Sabino Cassese sempre sul “Corriere della sera”.
Cassese denuncia l’indebolimento del sistema istituzionale italiano dovuto ad una serie di ragioni molto rilevanti (governo senza vera opposizione, esecutivo diviso su tutto, organi elettivi e collegiali svuotati di poteri a favore ai vertici dei partiti di governo, amministrazioni pubbliche sfiduciate, autorità indipendenti silenziate) e si domanda: “Resisterà la nostra giovane democrazia a queste nuove tensioni?”.
Domanda molto seria e nient’affatto peregrina, proprio perché le condizioni di debolezza che denuncia Cassese si sposano con i rilievi che fa Galli della Loggia a proposito degli accordi con la Cina sulla “Nuova via della seta”, accordi che non si sa bene quanto tengano conto dello scenario internazionale in cui si collocano.
Sarà bene dunque avere presente ciò che più di dieci anni fa ci ricordava il grande politologo Giovanni Sartori (che prima di lui affermava Norberto Bobbio e che lo stesso Cassese tiene ben presente nel suo intervento), ossia che “la democrazia non è solo elezioni”, ma ben altro, e comunque almeno tre cose:
1. Un insieme di regole accettate e praticate;
2. pesi e contrappesi che evitino i tentativi di rendere unilaterale il potere;
3. una coscienza democratica diffusa per essere l’opinione pubblica attenta, consapevole, partecipe. Condizioni che oggi più si va avanti e più sembrano appannarsi.
Ed eccoci allora al punto: in politica, come in fisica e nella vita, tutto si tiene. La democrazia è un sistema delicato che ogni atto inevitabilmente rafforza o indebolisce. Parlo ovviamente della democrazia rappresentativa, non del suo simulacro, la democrazia diretta, tanto più se delegata a piattaforme digitali senza controllo. Proprio per questo, concludendo, sento di dover esprimere la mia preoccupazione di fronte ad una politica interna che indebolisce i contrappesi e una politica estera che sembra seguire più interessi parziali che non un interesse generale del Paese fondato su una visione larga e di lungo periodo. Teniamo ben presente che la democrazia può uccidere se stessa.