di Franco Raimondo Barbabella
Beppe Fiorello, in un’intervista rilasciata a Vanity Fair lo scorso 19 febbraio, ad un certo punto, parlando di Mimmo Lucano, il sindaco di Riace, se n’è uscito con questa affermazione: “Quest’uomo accoglie gli immigrati dagli anni ’90 e se ha commesso degli errori – come lui stesso ha ammesso – è perché è un contadino della politica: conosce poco il lato burocratico, a lui premono le persone. Preme dar loro una casa, un’istruzione, una speranza”. In questa sede e in questa occasione mi interessa l’espressione “contadino della politica”. Che cosa vuol dire Beppe Fiorello? A quale politica si riferisce? C’è? Ci dovrebbe essere?
Forse lo capiamo meglio, non sembri paradossale, se ci allontaniamo dalle cose di casa nostra e guardiamo panoramicamente almeno per un attimo ai grandi avvenimenti mondiali che ci sono piombati addosso in questi ultimi giorni, tramite tv, giornali e social media: la grande manifestazione di giovani di venerdi 15 marzo (oltre 2000 città del mondo), innescata da Greta Thunberg, la ragazza svedese sedicenne che ha chiesto ai governi di tutti i Paesi politiche più incisive contro il riscaldamento globale; la strage (50 morti e diecine di feriti) in due moschee di Christchurch in Nuova Zelanda ad opera di Brenton Tarrant, un giovane di 28 anni appartenente ad uno dei numerosi gruppi suprematisti di quel paese; la violenta, distruttiva, manifestazione di sabato scorso a Parigi dei gilet gialli, ormai nelle mani dei black bloc. Questi eventi indicano, seppure in modi diversi, non solo il potere e il ruolo dei sistemi digitali di comunicazione, ma da che cosa dipende l’uso che se ne fa.
Nel caso di Greta Thunberg è evidente la loro doppia valenza: da una parte rendono possibile una mobilitazione mondiale, dall’altra rendono evidente, numerosissime interviste alla mano, che non servono a migliorare né la competenza né l’informazione di chi a quella mobilitazione decide di aderire. Di qui dovrebbe partire un ragionamento per cui, se è positivo il grande entusiasmo e fortemente coinvolgente il messaggio di cambiamento di un mondo giovanile che sembra svegliarsi da un lungo letargo, è anche vero che il lavoro da fare perché cresca e si strutturi una coscienza ambientalista non effimera è ancora lungo e impegnativo.
Nel caso della strage suprematista in Nuova Zelanda si capisce che i sistemi digitali di informazione sono alla base di vere e proprie deviazioni culturali che si traducono in convinzioni e comportamenti insieme folli e criminali. Non è certo un caso se l’assassino aveva fissato sul casco una telecamera per registrare la strage e diffonderla poi via Internet. Bisogna dunque convincersi che il web di per sé non è né buono né cattivo, perché in realtà è insieme e l’uno e l’altro. Dipende dall’uso che se ne vuol fare. C’è nel web un fondo nero in cui pescano coloro che sono orientati alla ricerca del nemico su cui scaricare le proprie paure e frustrazioni, sulla base di convinzioni indotte o autocostruite sull’ignoranza e sul senso di sicurezza che danno le chiusure mentali e le debolezze psicologiche.
Nel caso poi delle violenze distruttive dei gilet gialli di sabato scorso a Parigi, il web è stato non solo strumento di mobilitazione come per le iniziative a favore del clima, ma anche, e in modo del tutto particolare, strumento di consenso programmato per gesta consapevolmente violente. I capi dei gilet gialli, infatti, hanno indetto l’ennesima manifestazione essendo perfettamente consapevoli che vi si sarebbero infiltrati a centinaia i balck bloc con il solo scopo di assaltare e distruggere. E così se ne sono fatti complici, pensando forse di guadagnare il consenso in fasce sempre più radicali per compensare quello perso nella parte più moderata e orientata in senso comunque legalitario. Tanto peggio tanto meglio, distruggere per convincere di essere dalla parte giusta. Che cosa c’è di più lontano dalla ragione nella patria della ragione?
Dunque, perché questi avvenimenti che hanno caratterizzato il panorama mondiale negli ultimi giorni ci possono far capire meglio il senso della frase di Beppe Fiorello citata all’inizio? Ce lo fanno capire perché ci dicono, come ho già accennato, che il web non è né buono né cattivo, ma solo uno strumento nelle mani (cioè nella mente) delle persone che lo usano. Fiorello di fatto invoca una politica che, invece di arrendersi all’ondata di irrazionalismo che provoca assuefazione da una parte alla violenza e dall’altra all’indifferenza, riaffermi le ragioni del pensiero che rispetta la natura e i nostri simili, indipendentemente dalle condizioni personali, sociali, culturali e religiose.
Io conosco bene, per esperienza, i limiti della cultura e della vita contadina, ma capisco il positivo che promana da quel breve cenno di Fiorello ad una politica che vi faccia riferimento. Nella cultura contadina, infatti, c’è il senso dei ritmi naturali, il susseguirsi delle stagioni, la semina e il raccolto, il tempo necessario a che tutto maturi con il ritmo giusto. Lì non serve il selfie, non conta la corsa continua alla nuova immagine che fa discutere per un’ora o un giorno, non conta l’ansia del momento. Conta conoscere, ragionare, aspettare, rispettare. Ecco, la politica necessaria oggi sarebbe proprio una politica contadina con questo significato. Sono convinto che continuerà invece la politica dei selfie, ma non posso impedirmi di pensare a ciò che la potrebbe e dovrebbe sostituire per il bene nostro e di chi verrà dopo di noi.