di Franco Raimondo Barbabella
È impressionante constatare come nel mondo contemporaneo certi fenomeni facciano facilmente breccia nella mente collettiva e diventino habitus normalmente accettato. Mi riferisco in particolare alle diverse forme che oggi assumono il populismo e il sovranismo, quasi sempre congiunti o sovrapposti. Credo che all’origine ci siano, oltre ad altri fattori specifici del nostro tempo (crisi economica, migrazioni, insicurezza, paure), le logiche della società di massa, che si sviluppa nel corso del Novecento assumendo, con la diffusione delle tecnologie digitali, carattere di forza omologante. Ho l’impressione però che questa sia ancora una spiegazione troppo limitata. Probabilmente bisogna cogliere altri aspetti che ci consentano di andare più in profondità.
Due mi sembrano particolarmente interessanti: da una parte il bisogno di identità analizzato da Francis Fukuyama nel suo recentissimo libro intitolato appunto “Identità. La ricerca della dignità e i nuovi populismi”; dall’altra la forza dei miti, tornati all’attenzione in diverse parti del mondo con iniziative letterarie, di studio e mostre. C’è un rapporto tra questi due aspetti? Mi sembra che per l’essenziale la risposta debba essere positiva, anche perché appare evidente l’elemento unificante, ossia il tentativo di far emergere gli aspetti ricorrenti della nostra natura di esseri umani.
Il bisogno di identità non è certo scoperta recentissima, ma oggi assume una forza prima sconosciuta in quanto l’idea di un io interiore che aspira alla dignità di un riconoscimento sociale, e che per questo vuole anche manifestarsi nonostante le regole di convenienza imposte dal mondo esterno, appare dotata quasi di un diritto speciale. D’altra parte tale bisogno si sposa con la sensazione dell’individuo comune di essere impegnato come in un’impresa eroica solo per il fatto di voler portare a termine la sua giornata senza incorrere in fallimenti irrimediabili. Ogni giorno un viaggio nella realtà del mondo, non meno impegnativo del racconto che ne fa Joyce nel suo “Ulisse” e non meno significativo del viaggio dell’Odisseo omerico. Almeno così appare.
All’origine ci fu il passaggio ad opera dei greci dagli dei al logos, da una spiegazione dei fenomeni mediante racconti mitologici a una razionale. Ne sono derivate la scienza e la filosofia, che hanno caratterizzato con successo, anche se con una serie di passaggi lunghi e faticosi, talvolta drammatici, la storia dell’Occidente. Ma scienza e filosofia non spiegano tutto, né peraltro lo pretendono avendo superato da tempo l’illusione delle certezze assolute. Così, giunti al punto, ci resta un mondo da interpretare sempre con provvisorietà di soluzione e dunque con la consapevolezza di poter essere sempre spiazzati. Logico dunque che il bisogno di vedere riconosciuta la nostra personale identità ci renda disponibili ad essere catturati dagli inventori di nuovi miti più o meno affascinanti.
Possiamo, pur in questa temperie storico-culturale, immaginare qualcosa di meglio per orientarci con spiegazioni meno evanescenti e non rischiare prospettive rinunciatarie? Direi, per puro esempio, molto interessante l’analisi del filosofo ebreo americano Michael Walzer del rapporto possibile tra identità individuale e appartenenza comunitaria all’interno di formazioni politiche democratiche. In polemica con la concezione liberale di John Rawls, secondo cui i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico esistono e vengono scelti indipendentemente dall’appartenenza ad una determinata comunità e cultura, Walzer afferma l’impossibilità di concepire un’individualità senza i suoi legami comunitari. Anzi, si può possedere e far valere la propria personale identità all’interno di una comunità particolare, e quindi anche minoritaria, e insieme essere cittadini a pieno titolo di una determinata formazione statuale nella quale convivono diverse altre comunità.
Walzer propone in sostanza un modello comunitario pluralista, che valorizza le identità individuali permettendo ad esse di esprimersi con creatività lasciandole ancorate alla realtà e permettendo loro il più alto livello di partecipazione alla cittadinanza. In sostanza, populismo e sovranismo non sono necessità ma circostanze, storicamente comprensibili e dunque anche modificabili. Il punto culturalmente e politicamente dirimente è il superamento del rifiuto pregiudiziale a capirne le ragioni e l’elaborazione di prospettive alternative credibili che però ne tengano conto. Gli individui moderni hanno bisogno di non sentirsi rifiutati a casa propria e di non essere frustrati nel bisogno di coltivare sogni di miglioramento. Difficile ma non impossibile. Si può fare senza dover scegliere tra scientismo e irrazionalismo, perfino nella sfera pubblica.