di Franco Raimondo Barbabella
Qualche giorno fa a Parigi nel corso di una manifestazione di gilet gialli è stato aggredito il filosofo ebreo di origine polacca Alain Finkielkraut. L’episodio è stato raccontato da tutti i media con dovizia di particolari, riflessioni e commenti, particolarmente allarmati in Francia ma direi in larga parte dell’Europa. Credo che si tratti di un allarme giustificato, per diverse ragioni.
La prima e principale è che l’antisemitismo da un bel po’ di tempo è tornato ad essere fenomeno diffuso e violento, non solo in Francia ma particolarmente in Francia: lì c’è stato un impressionante susseguirsi di atti violenti, profanazioni, minacce fino all’omicidio, cosicché migliaia di ebrei già se ne sono andati e migliaia continuano ad andarsene rifugiandosi in Israele. E ciò che non va sottovalutato è il clima generale da cui l’antisemitismo emerge come punta caratterizzante, un clima fatto di linguaggi e comportamenti violenti contro tutto ciò che è istituzione e contro tutti coloro che rivestono non solo cariche politiche ma ruoli sociali e responsabilità pubbliche.
La seconda ragione è che, nel tempo, nelle banlieue a forte presenza islamica si è radicato, per predicazione a lungo sostanzialmente incontrastata, favorita anche da intellettuali a dir poco scarsamente avveduti se non mentalmente deviati, un odio antiisraeliano che si dice antisionista e filopalestinese e che nella realtà raccoglie il malessere diffuso di pezzi di società messi ai margini dalle trasformazioni in atto, populace frustrata e preda di miti dal riscatto rapido e facile, che nessuno si è sforzato di convertire in forza organizzata e propositiva di miglioramenti possibili.
La terza ragione dell’allarme è che i due fenomeni descritti sommariamente sopra si sono innestati con il movimento dei gilet gialli, movimento confuso e disorganico, ma che sempre più si caratterizza come serbatoio di quanto di più antidemocratico proviene dalla sentina della storia e si annida abilmente nelle maglie larghe delle contraddizioni di una società moderna inquieta e un po’ slabbrata come è oggi, insieme ad altre, quella francese.
Non è dunque un caso che l’attacco a Finkielkraut sia avvenuto con la saldatura di questi tre fenomeni. Ha scritto Pierluigi Battista sul Corriere di qualche giorno fa: “È questa saldatura, questa fatale mescolanza, che unisce l’antisemitismo «bianco» di ascendenza nazistoide del gilet giallo di provincia che oramai non ha più remore a urlare «sporco sionista» per dire «sporco ebreo» e l’odio antiebraico rigurgitato dalle banlieue parigine a maggioranza islamica in cui nel 2006 venne torturato e bruciato vivo il giovane ebreo Ilan Halimi, nel silenzio imbarazzato e indifferente dell’opinione pubblica «democratica»”.
Bisogna dirlo a chiare lettere: sono anni che l’opinione pubblica democratica è come impaurita e rassegnata, sottovaluta e fa finta di non vedere i processi di degrado culturale e civile che stanno gradualmente trasformando le società europee in ambienti intolleranti e illiberali. Esponenti politici, partiti e movimenti di diverso orientamento, troppo spesso si sono illusi che bastasse cavalcare la tigre con una buona dose di demagogia per trarne anch’essi vantaggio. A qualcuno è riuscito, ad altri decisamente no. Il risultato però come si vede è complessivamente disastroso.
C’è chi ha fatto del linguaggio violento e della demagogia spinta fino all’inganno la propria strategia di cattura del favore popolare. C’è chi, in un clima di gara al rialzo a come si distruggono meglio principi democratici e istituzioni, non esita a proporre alleanze con l’estremismo giallo e chi non si vergogna di salticchiare qua e là negli ambienti in cui le chiusure si trasformano facilmente in pulsioni razziste. C’è poi chi ha flirtato con l’estremismo con la beata incoscienza di chi vuole stare comunque sull’onda della storia accompagnando il soffio del vento.
È successo a Galli della Loggia, che ha ammesso candidamente di avere votato Virginia Raggi come sindaco di Roma per simpatia verso i 5 stelle per poi pentirsene e affermare che oggi non lo rifarebbe. Lo stesso Alain Finkielkraut all’inizio aveva manifestato apertamente simpatia verso il movimento dei gilet gialli pensando, come spesso accade a certi intellettuali, di stare, lo ho già detto, dalla “parte giusta” della storia. Quando poi si è sentito minacciare violentemente e appellare con espressioni del tipo “sporco ebreo” ha avuto si paura, ma ha tentato ancora di giustificare in qualche modo l’accaduto quasi scagionando i gilet gialli con l’affermazione che si era trattato di una manifestazione di estremismo islamico, inevitabile date le condizioni di vita nelle banlieue.
Credo che proprio non ci siamo. Razzismo, antisemitismo, conati di fascismo, alimentati da pulsioni illiberali, si sono diffusi nelle società europee e sono pesantemente tra noi. Per troppo tempo si è pensato che si trattava di aspetti secondari e marginali, increspature passeggere. È stato un errore a cui non sarà semplice rimediare. Ci vorrà lucidità, impegno e passione, a lungo, in molti. Speriamo che non prevalgano stanchezza, indifferenza e passiva accettazione. Speriamo che non sia già troppo tardi.