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Home Politica

OPINIONI SOLITARIE DEL LUNEDI 04.02.2019 [477]

Redazione by Redazione
4 Febbraio 2019
in Politica, LETTERE PROVINCIALI, Archivio notizie
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Descrivere la stupidità del mondo può essere divertente. Ma poi, per evitare i danni, bisogna capire ed agire.
di Franco Raimondo Barbabella

Come si sa, sono diverse le parole con cui si è soliti indicare una condizione di carenza intellettiva e comportamentale: imbecillità, idiozia, demenza, ecc. La più nota però è stupidità e su di essa i proverbi e gli aforismi si sprecano: il proverbio popolare “la madre dei cretini è sempre incinta” o l’aforisma attribuito ad Einstein “Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana. E non sono così sicuro dell’universo”, o a Shakespeare: “Folle è l’uomo che parla alla luna. Stolto chi non le presta ascolto”, o a Confucio: “Solo i più saggi o i più stupidi degli uomini non cambiano mai”. Evidentemente il tema è parecchio coinvolgente sotto diverse latitudini, tante e tali ne sono le manifestazioni e le implicazioni sia nella vita privata che in quella pubblica.

Ne è ulteriore prova la letteratura. Basti pensare al “Don Quijote” di Cervantes o a “Bouvard et Pécuchet” di Flaubert o a “L’uomo senza qualità” di Musil, per non dire, per quanto ci riguarda più da vicino e con diverso livello, della cosiddetta “trilogia del cretino” di Fruttero & Lucentini. Ma chi nei tempi più recenti (non saprei dire se per puro divertissement, come farebbe pensare l’edizione in inglese numerata per amici del 1976, o con l’intento di chi “castigat ridendo mores”) ha posto all’attenzione mondiale la natura della stupidità e le sue variegate manifestazioni e conseguenze è stato indubbiamente lo storico dell’economia Carlo M. Cipolla con il suo umoristico “Allegro ma non troppo” (Il Mulino 1988), che contiene il saggio ormai famosissimo “Le leggi fondamentali della stupidità umana”.

Riassumerlo è appunto un po’ stupido, bisogna leggerlo, tale è l’intelligente ironia che lo caratterizza. Ma non è disdicevole accennare all’essenziale: 1. gli stupidi danneggiano l’intera società; 2. gli stupidi al potere fanno più danni degli altri; 3. gli stupidi democratici usano le elezioni per mantenere alta la percentuale di stupidi al potere; 4. gli stupidi sono più pericolosi dei banditi perché le persone ragionevoli possono capire la logica dei banditi; 5. i ragionevoli sono vulnerabili dagli stupidi perché: a) generalmente vengono sorpresi dall’attacco; b) non riescono ad organizzare una difesa razionale perché l’attacco non ha alcuna struttura razionale.

Da segnalare in particolare la “Terza (e aurea) legge fondamentale”: “Una persona stupida è una persona che causa un danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé od addirittura subendo una perdita”. E due conseguenze, che sembrano accompagnare il nostro destino: 1. I grandi personaggi carismatici/demagoghi moltiplicano/ attirano gli stupidi trasformandoli da cittadini pacifici in masse assatanate; 2. Quando la maggior parte di una società è stupida, allora la prevalenza del cretino diventa dominante ed inguaribile.

Sembra essersi ispirato a quest’ultima ipotesi, addirittura dandola per realizzata, il pamphlet da poco in libreria dello scrittore francese Armand Farrachi “Il trionfo della stupidità” (edizioni Fandango), operetta snella, di sicuro spregiudicata e divertente, però francamente non so quanto coinvolgente dopo aver letto l’“Allegro ma non troppo” di Cipolla. Comunque, a parte i criteri utilizzati per individuare le manifestazioni di stupidità (ritenere stupide le idee che non condividiamo o mettere tutte le opinioni sullo stesso piano: contestare la scienza, irridere le competenze ed esaltare i ciarlatani, ecc.), è frizzantina la descrizione delle sue manifestazioni: a scuola la sostituzione dei libri con articoli di giornale, il finto ideale egualitario che appiattisce i livelli e abolisce il merito, la corsa di artisti mediocri ad accaparrarsi i pochi soldi pubblici disponibili, il culto della bruttezza purché firmata da un archistar, e così via.

Soprattutto è da notare la tesi di fondo: quando una società si caratterizza per mancanza di intelligenza e di senso critico, prevalenza di pregiudizi, ignoranza, incapacità di riflettere e di giudicare, propensione alla gaffe, alla confusione e alla perversione del gusto, e addirittura se ne fa un vanto, allora vuol dire che la stupidità ha vinto e non c’è più rimedio. I segni c’erano da un pezzo ma le tecnologie digitali, soprattutto i social, hanno permesso che si raggiungesse infine il risultato.

Tutto interessante, ma la domanda che a questo punto viene spontaneo porsi è: e ora?, gettiamo la spugna e ci diamo alla macchia? Ci soccorre Maurizio Ferraris, filosofo, che parlando del suo libro del 2016 “L’imbecillità è una cosa seria” (Il Mulino), afferma: «Non sono d’accordo, perché gli stupidi ci sono sempre stati, anche prima del web, e mi pare futile dar la colpa al web della nostra imbecillità. In generale, nulla è più falso dell’idea che la tecnica aliena esseri altrimenti virtuosi e perfetti… Ma quando mai: li rivela per quelli che sono, ci rivela per quelli che siamo. Questa storia di internet che rende stupidi mi ricorda le lamentele degli scemi di guerra di tanti anni fa, “a me mi ha rovinato la guerra…”. Senz’altro: ma sei sicuro che quando è scoppiata la guerra tu non sei andato in giro a cantare inni patriottici? E, se è così, sei davvero sicuro che a rovinarti sia stata la guerra?».

Ecco, perfetto, la stupidità è parte necessaria del nostro impasto, esiste in diversi gradi e si manifesta o si contiene in diversi modi. Il punto è come evitare che prevalga e l’antidoto è la ragionevolezza e la cultura, roba seria che nessuno ti regalerà mai. Insomma, non basta capire, bisogna scegliere ed agire. La responsabilità non è delegabile. Leggere Farrachi è divertente, leggere Cipolla è divertente e istruttivo, far funzionare il cervello è divertente, istruttivo e responsabile. Ed è per questo che è si difficile, ma volendo ci vieta la noia e dà senso al nostro passaggio su questa terra. Francamente non mi pare poco.

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