Commento di Dante Freddi- Il post di Riscaldati pone in evidenza l’approccio sbagliato e superficiale ai problemi, la tendenza a discutere quanto viene posto innanzi senza tentare di avere una prospettiva più larga, in grado di permetterci di osservare meglio. FB è semplicemente il mezzo moderno di un metodo nella formazione del pensiero che è sempre esistito, con dinamiche per influenzare l’opinione pubblica diverse a seconda dei tempi, ma sempre efficaci, perché si fondano su una scarsa stima del ricevente del messaggio e quindi con la confezione di un notizia conforme alle aspettative, breve, facile da assimilare e da digerire. Poi una stupidaggine nuova e via così. Satolli di discutere su cose che non si conoscono attraverso monosillabi e informazioni rigorosamente di parte, si partecipa alla costruzione di nuove ideologie, confuse ed eterogenee e pericolose, inutili per risolvere problemi complessi, ma robuste come l’amore per una squadra di calcio.
Questa del Franco coloniale, trattata dal Fatto quotidiano, è un esempio. Tutti presi a spiegare ma non a capire cosa è questo Franco, perdiamo di vista il problema generale: tutti hanno sfruttato e continuano a sfruttare l’Africa, per quanto hanno potuto e per quanto possono. E allora certi mantra, come “aiutiamoli a casa loro”, si coprono di una fuliggine densa che giustifica il rifiuto ma non ci fa vedere la realtà.
Posta Leonardo Maria Riscaldati
Finché non focalizzeremo la questione guardando gli eventi dalla giusta distanza per capire le vere dinamiche di sistema; finché gran parte dell’occidente non la smetterà di svuotare l’Africa di ogni risorsa; e finché noi cittadini non impareremo a andare oltre l’accapigliarci sull’evento singolo specifico; continueremo a raccontarci le favole, a vedere le cose in modo ingenuo, a confondere i sintomi con le cause, e soprattutto a pretendere di risolvere un problema complesso e globale guardando solo dal buco della serratura.
L’articolo del Fatto Quotidiano-
Non ti regalo il pesce, ma ti insegno come si costruisce una canna da pesca. E ti spiego come si usa. È il mantra di chi non vuole solo lavarsi la coscienza sfamando l’Africa. Ma impegnarsi a trasformarla. E se, però, non ci sono più pesci? Se gli africani imparano a costruirsi la canna, ma impigliato all’amo non resta nulla? È quello che accade, ad esempio, in Senegal, dove negli ultimi 10 anni le coste si sono svuotate. Hanno visto prosciugarsi dell’80% la quantità di pescato. Il milione e mezzo di senegalesi che vivono in mare tornano ogni sera con le barche più vuote, perché pescherecci europei, russi, cinesi fanno incetta di tutto il pesce al largo. Una situazione che sta impoverendo le famiglie, spingendo soprattutto i giovani a tentare la traversata del Mediterraneo.
Quasi 10 mila km più a sud di Dakar c’è lo Zimbabwe. Per 37 anni è stato un Paese governato dal regime dispotico di Robert Mugabe. La violazione sistematica dei diritti umani e la mancanza di democrazia e di libertà avevano spinto Usa ed Europa a imporre al Paese sanzioni economiche. Hanno funzionato? Il commercio di diamanti – l’ex Rhodesia è il quinto produttore al mondo – ha continuato a prosperare in assenza di reali controlli sul commercio internazionale di gemme. Le quali sono finite (e finiscono) – attraverso un complicato incrocio di società off shore di Dubai, India, Sudafrica e Olanda – sui mercati occidentali, nei tradizionali canali di commercio legale dei gioielli.
Il doppiogiochismo occidentale si rivela anche nella Repubblica democratica del Congo, nella quale si stima vi siano riserve minerarie non sfruttate che varrebbero una cifra astronomica: 24 trilioni di dollari. Il Paese conserva anche la seconda più grande foresta pluviale al mondo. E intere aree sono devastate dal disboscamento. In un rapporto, dal titolo Fallimento totale del sistema, l’organizzazione Global Witness punta il dito contro una compagnia europea, la Norsudtimber, che opera illegalmente sul 90% delle sue concessioni nello Stato africano. Compagnia – con base in un paradiso fiscale, il Liechtenstein – che ha ottenuto concessioni forestali su 40 mila km². Nel 2017 gestiva, da sola, quasi il 60% del mercato del legname internazionale congolese.