di Franco Raimondo Barbabella
È sabato mattina, il sabato prima di Natale. Scrivo questo elzeviro per la rubrica del lunedi, ormai solitaria, dopo aver compiuto alcuni atti: ho sfogliato il recente libro di Alfonso Fuggetta dedicato alla cittadinanza consapevole nell’era digitale appena arrivato con il corriere; ho dato una scorsa ai giornali con particolare attenzione a quanto sta accadendo in queste ore in Parlamento; ho ascoltato via You Tube il discorso di Emma Bonino in Senato in cui denuncia “il più grave attacco alla democrazia parlamentare” da parte del governo e della maggioranza legastellata.
La linea di riflessione mi è suggerita proprio dal libro di Fuggetta, docente ordinario di informatica presso il Politecnico di Milano e direttore scientifico del consorzio di imprese e amministrazioni pubbliche costituito al fine di promuovere l’innovazione e le competenze per lo sviluppo delle tecnologie digitali. Un capitoletto è intitolato: “Sapere, innanzi tutto, prima di tutto”, e viene in mente il “conoscere per deliberare” di Luigi Einaudi, un liberale doc, e anche il “diritto universale alla conoscenza” di Marco Pannella, anche lui un liberale doc. In un altro capitoletto, intitolato “Imparare a ragionare” si legge: “Saper ragionare è essenziale per ogni professionista, ma è anche uno dei passaggi cruciali per essere una persona realmente matura, specialmente e soprattutto ai tempi del digitale e di Internet”. Saper ragionare, che locuzione emozionante! Così inconsueta e per questo così vera in un’epoca sragionante!
Basta questo per capire la direzione che una riflessione consequenziale a questo punto può prendere: lo svuotamento delle funzioni del Parlamento attuato passo dopo passo (un percorso durato anni se non decenni) ed ora giunto al suo culmine con la manovra di bilancio mette in luce con brutale evidenza la spocchiosa ignoranza di una classe dirigente improvvisata e una lontananza siderale da quella capacità di ragionamento che Fuggetta sottolinea come essenziale per l’oggi e il domani. Il fatto è che nel passato essa era già ritenuta la quintessenza dell’educazione del cittadino in regime di democrazia. Ma gli effetti evidentemente sono stati altri. E allora?
Allora le domande che viene spontaneo porsi diventano queste: se oggi le persone che compongono la classe al potere si esercitano nell’annullamento della democrazia liberale e sberleffano una figura politica tra le più rispettabili per capacità e coerenza nel momento in cui si pone come simbolico argine alla deriva antiparlamentare, quale educazione hanno avuto? E nel caso, di tale educazione ha fatto parte l’addestramento (si, l’addestramento) alla capacità di ragionare? Domande senza possibilità di risposta, ovvio. Ciò che non toglie nulla all’esigenza che l’educazione delle nuove generazioni si faccia carico di quanto afferma Fuggetta, ma che nel contempo indica che non è solo questione di educazione, ma semmai di quella complessità dei processi storici che formano o distruggono i sistemi politici.
Ed eccoci qua alla nudità delle cose. Niente scuse, niente capri espiatori, per coloro che appunto possono e vogliono ragionare. Siamo alla crisi vera, seria e grave della democrazia liberale, che altrimenti siamo soliti definire con il suo carattere principale, la rappresentatività della volontà popolare attraverso il voto libero e consapevole. Due secoli e mezzo fa i ribelli delle colonie inglesi d’America affermarono “no taxation witouth representation” (niente tassazione senza rappresentanza), a significare che le tasse non possono essere decise senza che i rappresentanti del popolo ne discutano e dopo un esame attento decidano con consapevolezza e responsabilità, per il semplice fatto che quelle decisioni incidono poi sulla vita delle persone.
Una lunga storia, iniziata nel 1215 con la Magna Charta Libertatum e sviluppatasi poi, dopo la formazione degli stati nazionali e l’affermazione della borghesia liberale, sia sul piano teorico che su quello politico e istituzionale lungo i secoli dell’epoca moderna. Un processo che porta tra i tanti i nomi di Spinoza, Locke, Montesquieu, Rousseau, Tocqueville, e per quanto ci riguarda più da vicino certamente Croce, Einaudi, Bobbio, Calogero e Capitini. Ed è il processo che sul piano storico effettuale è passato attraverso tutti i momenti drammatici che dall’unità ad oggi hanno caratterizzato la nostra storia, specialmente quelli del novecento, fino all’esito della democrazia liberale regolata dalla Carta entrata in vigore il 1° gennaio 1948.
Ora che tutto ciò possa essere liquidato nella quasi indifferenza generale è francamente stupefacente. Va bene, accetto l’obiezione: mi meraviglio che tu ti meravigli! Casaleggio senior lo aveva teorizzato. Grillo e i suoi lo hanno ripetuto più volte (“apriremo il Parlamento come una scatola di tonno”; “selezioniamo le persone a sorte e le mettiamo in parlamento”). Ora viene fatto con la massima disinvoltura. E chi vi si oppone viene sbeffeggiato. Non vale più nemmeno la divisione dei poteri: Locke e Montesquieu si rivolterebbero nella tomba. Auguri. Quelli di Natale valgono anche per queste questioni, che se non si fosse capito riguardano la vita reale, non quella immaginata. Non ci si può distrarre nemmeno a Natale!