di Franco Raimondo Barbabella
Bertolt Brecht in “Vita di Galileo” dice: “Sventurata la terra che ha bisogno d’eroi”. Io oggi direi: “Triste il tempo che ha bisogno di eroi”. Il nostro è un tempo triste, e Antonio Megalizzi era un eroe. Magari non era scritto che fosse lui, ma lui era lì non a caso, come non a caso c’era anche quella mano assassina di un coetaneo fanatizzato che gli ha cacciato in testa quel proiettile mortale. Ne spiega il perché in modo magistrale Alessandro Sallusti con questo bel fondo su “Il Giornale” di sabato scorso.
“Antonio Megalizzi non ce l’ha fatta, come era chiaro fin da subito, dopo essere stato colpito alla testa da un proiettile sparato dal terrorista islamico che ha fatto strage a Strasburgo Era un collega che si è trovato al momento sbagliato nel posto sbagliato, perché mai avrebbe potuto immaginare di essere a rischio passeggiando, dopo una giornata di lavoro, per un mercatino di Natale della capitale europea. Non c’è nulla di eroico in questo, ma la sua vita fino a quell’attimo l’ha vissuta in modo eroico nel senso letterale del termine, cioè, cito dalla Treccani, «in modo duro e faticoso per le lotte da sostenere e le difficoltà da superare ma perciò intensa e piena di entusiasmo, che si ricorda con compiacimento soprattutto se paragonata a un presente piatto e poco interessante».
Nell’epoca dei record di ascolto del Grande Fratello, del disimpegno e del «tutti ladri», Antonio era appunto un eroe perché credeva e si batteva per cose oggi merce rara. Per esempio era convinto della centralità e della nobiltà della politica come unico strumento per dirimere le questioni; pensava che l’informazione e la sua libertà fossero un bene assoluto e da proteggere; era convinto che un’Europa unita, equa e solidale, fosse il punto di approdo da perseguire da parte di tutte le nazioni che ne fanno parte. E per questo si trovava a fare il giornalista politico al Parlamento di Strasburgo.
Chi gli ha sparato, un bastardo terrorista islamico, tutto questo non lo sapeva, né gli importava conoscerlo. Sono bastati i suoi tratti fisici da occidentale a trasformare il ragazzo italiano in un facile bersaglio. Ma a noi importa eccome sapere e ricordare chi era Antonio Megalizzi, 29 anni appena compiuti. Ha vissuto poco, ma non invano, anche se questo non può consolare l’immenso dolore dei suoi cari. Non invano perché il lavoro e gli ideali di Antonio restano in eredità a tutti noi che ci battiamo, ognuno nel suo campo, per una società pacifica, libera e liberale. È una eredità che non possiamo dissipare, pena essere complici di chi lo ha ucciso e dei suoi mandanti. E questo è un patto che ci impegniamo oggi, nella memoria di Antonio, a non tradire mai”. Condivido fino alle virgole.
Aggiungerei semmai soltanto queste brevi considerazioni di Gianfranco Marcelli lette sempre sabato scorso sul fondo di “Avvenire” dal titolo “La vita e la morte di un giovane europeo. Bella è la storia da continuare”.
L’articolo comincia così: “Si può ancora morire per l’Europa, per il sogno di un Continente unito e solidale. Anzi si muore, come è toccato ad Antonio Megalizzi, giornalista radiofonico trentino, membro di una community internazionale di giovani talenti desiderosi di coltivare la professione senza frontiere”.
E si conclude così: “Adesso il rischio è che nuove inimicizie, altri e non meno pericolosi conflitti in nome di un radicalismo religioso ingiusto e ingiustificabile riportino indietro gli orologi della storia. Lo stesso potrebbe avvenire se i rinascenti ‘spiriti sovrani’, tanto più se alimentati da desideri di vendetta, dessero vita a nuove chiusure o a cacce al diverso, di pelle o di fede. Antonio, ne siamo certi, si opporrebbe con tutte le forze, scriverebbe e, se necessario, da cittadino alzerebbe la voce contro i seminatori di discordie. Soprattutto, porterebbe la propria testimonianza di figlio di un’Europa che può e deve garantire ancora la pace e la tolleranza. È questa la bella storia che dobbiamo continuare a fare. Contro tutti gli spettri di un passato da lasciare per sempre alle nostre spalle”.
Cosa dire di più e di meglio? Nulla, se non che viviamo un tempo triste e che però Antonio Megalizzi ci lascia un’eredità ideale di fiducia e di speranza che sarebbe delittuoso non coltivare, quasi come missione di vita, come lui aveva scelto di fare. Un giovane da indicare a modello, per i giovani e soprattutto per gli adulti, perché testimone della possibilità di un modo alto di vivere la vita che in troppi sembrano affannarsi a negare.