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Home Social Post

Incontro CoM. Non è luogo per giovani. Il commento di Davide Orsini

Redazione by Redazione
10 Dicembre 2018
in Social Post, Archivio notizie
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Commento di Dante Freddi
Facebook serve a qualcosa, non soltanto a beghe ma anche a riflessioni che inducono a ragionare, come il post che segue, di Davide Orsini. Non voglio che si perda velocemente nel web e spero di procurargli qualche ulteriore lettore, perché vale il tempo.
Mi concentro soltanto su due aspetti, ma di stimoli ce ne sono un bel po’.
La classe dirigente è assente nella discussione del futuro della città, sostiene Orsini.
È vero. E quando appare è per difendere i propri interessi contingenti: politici, culturali, economici, di gruppo. Il cicaleggio sopraffà il ragionamento e il risultato è NULLA.
Devo però confermare la mia vicinanza a chi, ieri, oggi e domani, si dedica all’amministrazione della comunità, al di là dei risultati. Sono eroi, esposti al dileggio, senza guadagni, con straordinarie responsabilità personali. Anche se godessero nel “comandare”, credo che la fatica superi il piacere. Per fortuna non sanno o non vogliono impiantare una simile contabilità.
Ancora.
Orsini rileva che i presenti al convegno CoM erano mediamente ultrasessantenni, pochi i maturi, nessun giovane.
È vero, questi ultimi stavano in altro luogo, non dove si discuteva della città, forse disillusi o forse disinteressati.
La colpa di questa lontananza siamo noi stessi che ci interroghiamo su come confezionargli la vita prossima. Riportarli alle loro responsabilità credo sia il lavoro più arduo e importante che abbiamo innanzi. Se riusceremo, il futuro sarà poi come lo vorranno loro e non noi, che il nostro ce lo siamo già costruito.
Posta Davide Orsini
Alcune considerazioni sulla iniziativa di Comunità in Movimento (CoM). Venerdí sera Franco Barbabella ha introdotto l’iniziativa dell’associazione, illustrando i problemi più importanti su cui la città tutta dovrebbe confrontarsi. L’analisi della situazione sociale, economica, e politico-amministrativa da sui si muove la proposta di CoM è piuttosto impietosa, ma non catastrofica o inutilmente allarmistica. Piuttosto, come nello stile di Barbabella, il breve riassunto dei nodi che Orvieto è chiamata a sciogliere pone in modo razionale una serie di problemi ed offre per lo meno un metodo con il quale ragionare di soluzioni (che pur vengono accennate). Credo che la parte più interessante, almeno per chi scrive, riguardi la necessità di tornare ad avere una visione strategica di lungo periodo, un’idea di città che riesca a mobilitare risorse e ad innescare un processo virtuoso di progettualità. Bene, condivido in pieno questa esigenza. Dirò poi in ultima battuta come “riportare con i piedi per terra” questa idea di città, che a parer mio è ancora troppo abbarbicata sulla rupe. Ma veniamo all’analisi impietosa da cui muove la proposta di Barbabella. A chi avesse assistito all’evento ed avesse ascoltato gli interventi svolti da alcuni dei presenti, risulterebbe chiaro che la città è in crisi. Una crisi che investe prima di tutto quelle che una volta si definivano classi dirigenti, cioè le elite politiche, imprenditoriali, culturali, che almeno sulla carta avrebbero l’onere e l’onore di organizzare il bibattito sul futuro di Orvieto. Bene, tra appelli ecumenici e trasversalisti del tipo “volemise bene, unimise”, rivendicazioni del lavoro fatto da ex assessori, e strampalate proposte di riorganizzazione della macchina comunale da parte di segretari politici bolliti, la crisi delle città si è mostrata in tutta la sua tragi-comicità. Il dato più rilevante a parere di chi scrive è l’assenza totale di persone al di sotto dei 40/45 anni. Anzi, se eliminiamo i 4 o 5 quasi cinquantenni presenti, l’età media degli intervenuti era 60/65 anni. Nulla di male, per carità, ma questo indica in modo chiaro che le generazioni di adolescenti e giovani che vivono o vorrebbero vivere ad Orvieto sono completamente assenti dalla discussione sul futuro della città. Questo è un problema enorme di cui qualsiasi proposta programmatica deve necessariamente farsi carico, non solo a parole, ma con un tentativo di coinvolgimento concreto, ORA. Il dibattito in se mi è sembrato spento. A parte la verve di Franco Barbabella, gli interventi hanno ribadito posizioni già note, o lamentazioni tanto vecchie quanto sterili. Il punto è che fare? Come si esce dalla crisi? Barbabella propone un metodo ed alcune prospettive. Il primo punto è uscire dalla logica dell’emergenza (si risponde a singoli problemi cercando di tappare i buchi con soluzioni estemporanee) per riappropriarci del nostro destino assumendo noi il ruolo di apripista. Cosa vogliamo diventare, e come possiamo farlo? Sul metodo ho alcune asservazioni da fare. Mi pare che manchi un pezzo di città e di territorio nel ragionamento svolto da Franco. Manca la popolazione della valle del Paglia. Mancano gli artigiani, i piccoli imprenditori dei capannoni, mancano gli operai, i giovani precari, gli studenti universitari, i disoccupati. Manca quella che un tempo, accanto all’edilizia pompata dai partiti, era la piccola e piccolissima classe di lavoratori che dopo l’apertura dell’autostrada ha prodotto la ricchezza di Orvieto. E manca un discorso serio sulla cultura (non quella con la c maiuscola) di questa comunità. Manca un discorso sul “senso comune” che coinvolga non solo le elite ma anche i cittadini “normali” che hanno esigenza di vivere degnamente ad Orvieto. Insomma chi si propone di iniziare un dibattito sul futuro di Orvieto non può fare a meno di prendere la macchina, o la bicicletta, e andare a parlare con quelli che di solito scompaiono nei dibattiti sulla crisi del centro storico, di questa o quella libreria, di questo e quell’esercizio commerciale. Unire l’alto (la rupe) ed il basso (il territorio circostante) diventa tanto strategico quanto più necessario quando si parla di costruire reti transregionali che consentano collaborazioni ed aperture di nuovi flussi turistici e commerciali. Occorre poi tornare a parlare di come si redistribuisce ricchezza e come si incentivano gli ereditieri orvietani ad investire i loro patrimoni tradizionalmente in cassaforte (leggi Fondazione, etc…). La finisco qui, per ora.

La foto a capo pagina è stata postata da Franco Raimondo Barbabella.

 

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