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Home Social Post

Di Maio e Salvini al servizio di Facebook. Per vincere

Redazione by Redazione
30 Dicembre 2018
in Social Post, Archivio notizie
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Commento di Dante Freddi- Interessante questo post di AGI, agenzia giornalistica. Racconta lo studio apparso sul The Guardian e confezionato dall’Università di Pisa. Lo studio spiega il perché del successo di Salvini e Di Maio, grandi utilizzatori di FB. La tendenza dei due viceministri di essere sempre sopra le righe risponde alla necessità di coinvolgere le nostre viscere, anziché il nostro cervello. Tant’è che lo studio rileva che Facebbok, col suo nuovo algoritmo va benissimo per chi deve conquistare il potere, meno per chi deve gestirlo. Ma Di Maio e Salvini lo sanno e sono sempre in campagna contro qualcuno. Ormai i migranti sono serviti, quindi sotto altri. I nemici non mancano mai, soprattutto se la ruvidezza degli interventi solletica gli amici a mettere like e gli avversari a commentare sguaiatamente. Il giro che si genera è il miglior affare per FB e per chi lancia messaggi estremi che alimentano “rabbia” e “paura”.
I “vergogna”, “maiale” e via così sono un bell’affare per evitare che si formi un pensiero e che tutto si fermi a un grido, che non richiede studio e impegno.

Posta AGI
Facebook e l’algoritmo che favorisce Salvini e Di Maio

Un rapporto dell’università di Pisa spiega il successo del leader leghista e del capo politico di M5s con la loro capacità di usare al massimo il social. Non ci sarebbero riusciti se Facebook un anno fa non avesse cambiato strategia. E se l’algoritmo non fosse “costruito” per premiare le nostre reazioni più viscerali

Sul quotidiano inglese The Guardian è uscito uno studio del MediaLab dell’università di Pisa che spiega il successo elettorale di Matteo Salvini e Luigi Di Maio con la loro capacità di usare al massimo Facebook; e che avanza l’ipotesi che sia proprio l’algoritmo segreto di Facebook la miscela esplosiva dietro l’avanzata dei movimenti populisti in tutto il mondo.

La questione è molto seria e non si può liquidare dicendo che ben prima della analisi di Pisa era evidente a tutti la differente abilità nell’usare i social media dei leader della Lega e dei cinquestelle. Nella classifica dei 25 post più condivisi della campagna elettorale Salvini e Di Maio sono appaiati al primo posto avendo raggiunto 7,8 milioni di persone (Matteo Renzi si ferma a uno a mezzo, Berlusconi sotto il milione).

Questo divario si spiega solo con il fatto che sono più bravi dei rivali politici o c’è qualcosa nell’architettura di Facebook che favorisce la diffusione dei loro messaggi? Provare a rispondere non vuol dire cercare alibi per gli sconfitti, ma capire come funziona davvero la più grande piattaforma di condivisione di contenuti del mondo.

Ebbene qualcosa è effettivamente cambiato su Facebook all’inizio del 2018: dopo le polemiche per essere stato lo strumento per la diffusione di fake news, le famose bufale, l’algoritmo è stato modificato. In che modo? In modo da mostrare meno news, vere o false che siano. Visto che l’intelligenza artificiale si era mostrata incapace di distinguere in maniera automatica fra un giornale vero e uno finto, Mark Zuckerberg in un famoso discorso comunicò al mondo che in quello che vediamo quando entriamo su Facebook si sarebbero privilegiati i contenuti personali. A scapito delle notizie.

E’ questo che ha aperto il campo ai messaggi “personali” di Salvini e Di Maio in Italia, e più tardi dei “gilet gialli” in Francia. In realtà, va detto, avrebbe potuto fare lo stesso con i loro avversari: in fondo Macron era arrivato al potere facendo un largo uso di Facebook; e lo stesso Matteo Renzi, che aveva scalzato Bersani e Letta partendo dai social, una volta a palazzo Chigi aveva addirittura inventato un genere, il “matteorisponde”.

Insomma in questa vicenda c’è materia per gli storici che ci studieranno fra qualche anno; per noi, che invece in questa storia ci viviamo, l’impressione, anzi qualcosa di più, è che Facebook funzioni meglio se devi prendere il potere e meno bene quando lo gestisci. Il motivo, questo sì, è in un algoritmo che è costruito sull’engagement, ovvero per scatenare le nostre reazioni (perché solo così Facebook guadagna, registrando e rivendendo i dati delle nostre interazioni: paradossalmente, se non mettessimo mai un like e non scrivessimo mai un post, Facebook non guadagnerebbe nulla).

Ricapitolando: l’algoritmo di Facebook è costruito in modo da indurci a interagire con quello che ci viene mostrato. E noi esseri umani reagiamo più facilmente davanti a cose che ci fanno rabbia o paura.

 

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